Che cos'è la continuity?

Cos'è la Continuity e quali sono le sue insidie? Ecco la storia di questa componente fondamentale del fumetto seriale moderno

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a cura di Manuel Enrico

La continuity è uno degli elementi più iconici della narrazione seriale. Divenuta particolarmente conosciuta negli ultimi tempi grazie alla serialità televisiva, la continuity ha trovato una prima declinazione all’interno del mondo dei fumetti. Proprio da questo ambito si può comprendere come sia complesso gestire una continuità narrativa solida ed impeccabile, considerato che le produzioni televisive si avvalgono di una figura che ha il solo compito di verificare il rispetto del background costruito sino a quel momento.

La continuity nel mondo dei fumetti

Nella serialità televisiva, la presenza di ampi budget consente di disporre di curatori e supervisori, che possono esercitare un controllo sulla coerenza narrativa molto rigido, anche se non infallibile. Basta considerare una delle serie televisive più longeve di sempre, Star Trek, capace di mostrare incongruenze tali che, per ironizzarci sopra, è stato addirittura coniato un acronimo apposito, YATI (Yet Another Trek Inconsistency, Un’altra incongruenza di Star Trek)

Se nel mondo televisivo la continuity è, tuttavia, facilmente gestibile, portando il discorso nel medium fumettistico la questione diventa molto più complicata, specialmente se si parla di fumetti seriali. La quantità di numeri e dettagli inseriti in una collana a fumetti, soprattutto negli ultimi anni, è considerevole, rendendo il controllo della continuità narrativa un’esigenza che deve tener conto dei giudici più spietati: i lettori. Per quanto un autore possa esser preciso e fedele alla continuity arriverà un momento in cui incapperà in un errore, magari anche un’inezia, ma che per il lettore più preciso e puntiglioso diventerà un errore colossale e imperdonabile.

Parlando di continuity nel mondo delle nuvole parlanti, spesso questo termine rimane un mistero per i meno avvezzi al mondo dei fumetti. Per avere un’idea di come funzioni la continuity fumettistica, possiamo vederla come il corrispettivo nei comics del nostro vissuto, il background dei personaggi dei protagonisti.

Per capirlo, è sufficiente immaginare di creare un personaggio a fumetti, capace di conquistare il pubblico e venire pubblicato per decenni, in cui, ad ogni numero, il protagonista incontra nuovi personaggi. Al contempo, si svelano dettagli del passato dell’eroe che i lettori, appassionandosi alla sua figura, considereranno come i pilastri della sua personalità. Se ne sta raccontando il passato, insomma, definendolo in modo preciso e, inesorabilmente, immutabile. Ovviamente, il protagonista, per essere reale, allaccerà rapporti con altri personaggi, che a loro volta avranno un proprio passato che dovrà essere inserito e canonizzato all’interno del flusso narrativo della serie.

Ogni nuovo dettaglio inserito all’interno della trama orizzontale del fumetto contribuisce a dare solidità e concretezza al contesto narrativo del fumetto, ma nello stesso tempo si stanno creando dei punti deboli all’interno del telaio narrativo della serie. Ognuno di questi elementi diventerà un punto fermo della storia del personaggio, entrando, per l’appunto, nella sua continuity. E se i lettori sguazzano in questo universo di curiosità e approfondimento su un personaggio, per gli autori inizia una serie di problematiche che non si sarebbe mai immaginato.

Se da un lato un mondo ben caratterizzato, che sappia muoversi autonomamente dalla figura di un personaggio principale, è avvincente e si presta anche a diverse tipologie di storie, dall’altro rappresenta un terreno minato in cui sono incappati anche alcuni tra i più venerati autori di fumetti. Se a questo si aggiunge, specialmente in ambito supereroistico, l’introduzione di espedienti narrativi quali multiverso e viaggi nel tempo, la fragilità della continuity è inevitabile.

La nascita della continuity nei comics

Verrebbe da chiedersi chi abbia avuto questa folle idea di introdurre la continuity nei fumetti. Sicuramente, all’inizio, questo passaggio non era stato pensato per essere sviluppato nei decenni a venire, visto che l’introduzione della continuity risale ad un periodo della storia dei fumetti in cui la breve vita editoriale del media non poteva far pensare ad uno sviluppo che ha portato oggi i fumetti ad essere una vera e propria forma di letteratura.

Non è un caso che sia proprio il fumetto supereroistico, la maggior vittima della continuità, l’origine della tanta temuta continuity. Durante la Golden Age dei fumetti vennero sfornati una quantità incredibile di personaggi per serie a fumetti, tanto che la National Periodical Publications (la futura DC Comics) e le sue concorrenti come la Timely Comics (la futura Marvel Comics) si ritrovarono a gestire un parterre di eroi in costante espansione che, apparentemente, non sapevano dell’esistenza l’uno dell’altro. Come fare dunque a porre rimedio a questa situazione? L’idea nacque in casa DC Comics: creare una squadra di eroi.

Nell’inverno del 1940 Gardner Fox sceneggiò una storia che riunisse in un unico albo diversi eroi dei fumetti. Fu così che Doctor Fate, Hour-Man, Spectre, Hawkman, Flash e Green Lantern furono riuniti nella Justice Society of America. Con questa mossa, Fox diede il via alla concezione che i personaggi a fumetti fossero parte di un mondo molto più ampio di quanto precedentemente pensato. I lettori gradirono questa idea, e l’idea di universi condivisi tra i diversi personaggi venne data come assodata per i fumetti successivi.

Ma se è vero che la DC Comics è l’involontaria creatrice della continuity, è stata la sua diretta concorrente, la Marvel Comics, a sviluppare il concetto di continuity nella sua forma più complicata (e di conseguenza, spietata). La nascita del Marvel Universe è stata una delle tappe fondamentali dello sviluppo del concetto di continuità, specialmente applicata in un contesto più ampio che consentisse di intrecciare le vite di più personaggi.

La Casa delle Idee ha sempre voluto creare un universo solido e coeso. Il primo passo per la creazione di quello che sarebbe poi divenuto il Marvel Universe risale al 1940, con il primo crossover tra due personaggi di quella che all’epoca era ancora conosciuta come Timely Comics. In Marvel Mistery Comics #8-10, infatti, si scontrarono Namor The Submariner e la Torcia Umana, l’androide Jim Hammond; questo primo incontro tra due personaggi della casa editrice si può considerare, a tutti gli effetti, il primo mattone del Marvel Universe fumettistico, e di conseguenza il seme della continuity Marveliana.

Una continuity che si è in seguito ampliata con la comparsa di una serie di supersquadre che riunivano diversi personaggi, sull’esempio della Justice Society of America di casa DC Comics. Dopo il primo incontro tra Namor e Human Torch comparvero All Winners Squad (in cui ricomparve Namor e apparve anche Capitan America), la Liberty Legion e gli Young Allies. Si tratta, però, di pubblicazioni antecedenti agli anni ’50, periodo in cui la figura del supereroe perse di interesse presso il pubblico, decretandone una parziale scomparsa in favore di altri temi, come la fantascienza o l’horror. In questo panorama editoriale mutevole, la continuity venne momentaneamente messa sotto ghiaccio, come un certo eroe che sarebbe poi divenuto il fulcro dell’universo Marvel: Capitan America.

La Continuity marveliana

Sul finire degli anni ’50, Martin Goodman, titolare di Timely Comics, decide di cambiare il nome alla casa editrice, ribattezzandola Marvel Comics. La speranza era quella di dare nuova linfa al fumetto supereroistico, seguendo l’esempio della DC Comics, che nel 1956 aveva riacceso l’interesse degli appassionati mostrando in DC Comics’ Showcase #4 una nuova storia di Flash, dando vita alla Silver Age.

In Marvel si decise di puntare subito su un nuovo parco di personaggi, portando alla nascita di personaggi quali Fantastici Quattro, X-Men, Spider-Man, Iron-Man e Avengers. Tradizionalmente, si fa partire la continuity marveliana dal 1961, anno di uscita del primo numero delle avventure della famiglia Richards, ma nel numero quattro di Avengers, gli Eroi più potenti della Terra trovano un corpo tra i ghiacci del nord e, a loro insaputa, riportano nel Marvel Universe uno dei personaggi essenziali della continuity marveliana: Steve Rogers, alias Capitan America.

Con l’introduzione del personaggio all’interno degli Avengers, si rende implicitamente unico l’universo dei fumetti degli anni ’40 con quello degli anni ’60, accogliendo nel Marvel Universe le storie appartenenti all’era della Timely Comics. Già in questa prima fase emergono i primi problemi della gestione di una continiuità narrativa solida, ma in Marvel non ci si spaventa e si crea il primo caso di retcon.

Per retcon si intende quel processo in cui si riprendono elementi già stabiliti di un personaggio (quasi sempre le origini) e li si adatta ad una nuova esigenza. Per quanto simile al reboot, che prevede un riavvio totale della storia considerata, il retcon non implica la cancellazione delle storie successive.

In Marvel si utilizza questa tecnica per introdurre all’interno del nuovo universo narrativo i personaggi nati nei fumetti romantici o horror degli anni ’50. Per fare un esempio, Patsy Walker, l’eroina nota come Hellcat, nasce inizialmente come personaggio di un fumetto rivolto ad un pubblico di giovani adolescenti, ma con un’operazione di retcon viene trasformata in una metaumana, utilizzando come escamotage l’idea che le sue precedenti avventure fossero in realtà racconti a fumetti creati dalla madre, che ne raccontava l’adolescenza romanzandola per renderla più interessante. Cosa non si fa, per proteggere la continuity!

La continuity Marvel, tramite incontri e scambi di villain tra i vari personaggi, prosegue sino a quando interviene il vero nemico della continuity: l’Attento Lettore, nemico/amico di ogni autore. Nel 1968 un fan dei Fantastici Quattro pose la fatidica domanda: quanto tempo passa tra un numero e l’altro?

A rispondere fu Stan Lee, che forse inconsciamente diede la prima indicazione sul tempo del Marvel Universe.

“Anche se una storia completa si svolge in un giorno solo, non vuol dire che la seguente inizi il giorno successivo. L’avventura seguente potrebbe avviarsi il giorno dopo, o la settimana successiva o anche dopo un mese, persino l’anno dopo!”

Quindi, il tempo nel Marvel Universe scorre in modo differente, una concezione che ha concesso agli autori Marvel di muoversi liberamente all’interno di questo flusso temporale. All’epoca si era convinti che il Marvel Universe fosse in vita da circa sette anni, ma come gestire una continuity dopo cinquant’anni?

Capitan America dovrebbe essere ormai quasi centenario, e Spider-Man dovrebbe esser acciaccato dall’artrite anziché volare tra i palazzi di Manhattan. Anzi, proprio Peter Parker è diventato, in un certo senso, il punto di riferimento per lo scorrere del tempo in casa Marvel.

Per cercare di portare un minimo di ordine nella Marvel Continuity, si è dunque scelto di prendere due punti fermi da cui tentare di organizzare gli eventi di cinquant’anni di storie. Il primo è la comparsa dei Fantastici Quattro nel novembre 1961, stabilendo che quattro anni di storie in edicola corrispondono ad un anno di vita di personaggi. Quindi, il primo numero di Spider-Man (1962) è concomitante alla prima avventura dei Richards. Ma questo quindicenne impacciato morso da un ragno, non è invecchiato? La risposta è arrivata nel 20014, con Amazing Spider-Man vol. 4, in cui viene spiegato che da quel numero sarebbero passati solamente tredici anni, stabilendo che il Tessiragnatele ha ventotto anni.

Tenendo per buono questo rateo di conversazione temporale di 4 a 1, la continuity Marvel, almeno per la questione temporale, sarebbe risolta. Ma rimane un altro problema: il cambio di autori alla guida delle testate.

In Casa Marvel i personaggi sono affidati a rotazione ad autori differenti, ognuno intenzionato a raccontare le proprie visioni dei personaggi. Inevitabilmente, si creano situazioni che vengono ribaltate o riarrangiate all’occorrenza. Ecco quindi comparire la salvezza delle continuity: il multiverso. Ciò che non rientra in una continuity precisa e lineare può comparire in un universo alternativo, scelta possibile in casa Marvel quando nel 1983 Alan Moore in Daredevil stabilì che la continuity principale della Casa delle Idee si sviluppasse su Terra-616.

 La volontà di Marvel di non ricorrere mai al reboot ma limitarsi a dei retcon periodici è una scelta personale che molti lettori hanno apprezzato. In DC Comics si è andati meno per il sottile scegliendo alcuni punti nevralgici del continuum delle avventure di Batman e compagni per imporre dei veri e propri reboot.

La continuity nei fumetti italiani

Anche in Italia abbiamo avuto le nostre belle esperienze di continuity. Quando si parla di fumetto seriale italiano, inevitabilmente si approda in Sergio Bonelli Editore, storica interprete del mondo delle nuvole parlanti. La casa editrice milanese non ha mai tenuto molto in considerazione la continuity, almeno con i suoi primi e storici personaggi. Ad esempio, nel diciassettesimo albo della serie gigante, Tex, già vedovo, discute con il figlio sullo scoppio della Guerra di Secessione, ma in numeri precedenti della serie tradizionale rievocava il suo passato durante la Guerra di Secessione, di fronte al figlio adolescente e ai fedeli pards, precisando che all’epoca non era ancora sposato.

Questo è possibile in un fumetto in cui la continuity non è una base narrativa, ma al massimo un flebile legame tra diversi eventi. La continuity in casa Bonelli è diventata una caratteristica essenziale del personaggio solo con Nathan Never, nei primi anni novanta. Creato da Serra, Vigna e Medda, l’investigatore del futuro è il primo eroe bonelliano la cui serie è strutturata per essere impostata su una rigida continuity, una scelta che, in passato, è stata rivendicata con una punta di disperazione da Antonio Serra, reo confesso.

Serra confessò che la sua intenzione era tentare qualcosa che nessun autore bonelliano aveva mai tentato prima, ma solo in seguito capì perché a nessuno era mai venuto in mente: erano più furbi! Detta come battuta, questa sua convinzione derivava dalla sicurezza che oltre il cinquantesimo numero, una serie con una rigida continuity si scontra inevitabilmente con delle incongruenze. Dimenticanze, tempi di lavorazione che fanno sovrapporre storie e mille intoppi sono nemici della continuity, la rendono complessa da gestire, per quanto affascinante.

Convinzione non condivisa da Stefano Vietti e Luca Enoch, che nel dare vita al loro Dragonero, fumetto fantasy bonelliano, hanno costruito un universo narrativo fortemente intrecciato e basato su una rigida continuity. Un impianto narrativo che ha portato alla nascita di serie parallele alla pubblicazione mensile, che raccontano momenti del passato del protagonista, come nella serie Senzanima, che sono spesso citati anche all'interno della serie principale.

Verrebbe da chiedersi se i fumetti seriali possono esistere senza continuity. Per una storia one shot la domanda è inutile, ovviamente, ma la verità è che la continuity può esser gestita in una maniera più delicata, in cui siano pochi elementi ad esserne la colonna portante. Maggiore sarà la vita editoriale del fumetto, maggiore sarà il rischio di incappare in un errore, ma una buona complicità tra autore e lettore può aiutare a sorvolare su queste piccole mancanze.