007 - No Time to Die, recensione: la fine di un'era

La recensione di No Time to Die, ultimo capitolo della saga dell'agente segreto James Bond 007 interpretato per un'ultima volta da Daniel Craig.

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a cura di Marcello Paolillo

Quella di James Bond è una delle saghe cinematografiche più lunghe e redditizie di sempre. Ispirate dai romanzi dello scrittore Ian Fleming, le avventure di 007 hanno negli anni coinvolto un gran numero di appassionati, attraverso vari decenni e interpreti sempre diversi: da Sean Connery, passando per George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton e Pierce Brosnan, tutti attori "al servizio di sua maestà" nel portare sul grande schermo le rocambolesche vicende dell'agente segreto britannico più famoso di sempre.

Il franchise di 007 è infatti uno dei più longevi di sempre, considerando che gode ancora di ottima salute: 25 pellicole (più altri tre film considerati "apocrifi") in grado di attraversare i decenni e mantenendo quasi del tutto intatto il fascino e il carisma di Bond. La serie ha sicuramente ricevuto uno scossone nel 2006, quando MGM pagò dieci milioni di dollari per i diritti sul romanzo Casino Royale e decise quindi di portare al cinema un nuovo 007, dopo che Brosnan fu costretto ad abbandonare gli abiti del personaggio nel 2002, dopo l'uscita de La Morte può Attendere.

Iniziava così l'era di Daniel Craig, che con Casino Royale (diretto da Martin Campbell) vestì i panni di un Bond alle origini della sua carriera, un personaggio profondamente differente rispetto all'agente segreto tutto d'un pezzo a cui eravamo stati abituati in passato. Il "doppio zero" di Craig era inquadrato come un uomo violento e sempre pronto a usare le mani, prima ancora che il suo fascino da rubacuori. La storia d'amore con Vesper Lynd (Eva Green) era infatti ben lontana dalle classiche love story bondiane, un rapporto triste e tormentato che avrebbe poi dato letteralmente vita al mito di Bond così come lo conosciamo.

Il successo della pellicola di Campbell permise a Craig di non spogliarsi dello smoking troppo presto, visto l'uscita di numerosi sequel più o meno meritevoli di attenzioni: Quantum of Solace (2008), Skyfall (2012) e Spectre (2015) hanno infatti spianato la strada a quello che è considerato il gran finale dell'epopea del Bond di Daniel Craig, quel No Time to Die che porterà la storia al suo naturale e tanto atteso epilogo. Dopo l'intenzione iniziale di non tornare a vestire i panni di Bond, Craig ha quindi deciso di prestare un’ultima volta il suo volto al personaggio, in un film che di fatto segna la fine di un'era, senza contare che si tratta di uno dei film più posticipati in assoluto per via dell'emergenza sanitaria mondiale (il film sarebbe dovuto uscire infatti ad aprile 2020).

Licenza di uccidere

Dopo gli eventi di Spectre, Bond e Madeline Swann (Léa Seydoux) decidono di abbandonare il mondo dello spionaggio, tanto che l'agente segreto decide di ritirarsi in Giamaica per godersi la meritata "pensione". 007 è però costretto a tornare nuovamente in azione quando scopre che il suo vecchio amico ed ex collega Felix Later chiede il suo aiuto per salvare lo scienziato Waldo Obruchev, rapito da alcuni non meglio identificati terroristi. James è quindi costretto suo malgrado a entrare nuovamente in contatto con l’MI6, aiutato questo volta anche dalla nuova doppio zero Nomi (Lashana Lynch). Presto, Bond scoprirà che un nuovo e misterioso avversario, Lyutsifer Safin (interpretato da Rami Malek), ha intenzione di minacciare il mondo intero. Ex membro dell'organizzazione criminale SPECTRE, Safin è infatti in possesso di armi genetiche davvero pericolose, senza contare che l'uomo dal volto sfregiato sembra avere un qualche tipo di rapporto con Madeline.

Proseguendo quindi la storia intrapresa con Casino Royale e proseguita con i film successivi, No Time to Die ha quindi il delicato compito di chiudere il cerchio dell'universo bondiano di Craig e lo fa nel modo più semplice possibile. Senza rovinarvi la sorpresa con spoiler o simili, il film diretto da Cary Fukunaga è folgorante nei punti giusti, con sequenze d'azione piazzate con sapienza per non annoiare lo spettatore per via della - forse eccessiva - durata della pellicola. L'introduzione del villain interpretato da Malek innesca gli sviluppi drammatici della trama, sebbene la sceneggiatura di Phoebe Waller-Bridge per No Time to Die - pur non avendo dalla sua veri e propri buchi in grado di infastidire lo spettatore - sembra non portare a una reale conclusione logica degli eventi, cosa questa che snatura gran parte del pathos promesso per questo "gran finale".

L'ultima avventura dell'agente segreto James Bond è infatti innanzitutto un film di intrattenimento nella sua forma più pura e semplice, ma che nella parte centrale e nel terzo atto mostra il fianco alle critiche (specie per alcuni colpi di scena non propriamente funzionali al contesto). Fukunaga strizza infatti l'occhio al ritmo sincopato dei vari Bourne e John Wick, specie quando si tratta delle varie sequenze di inseguimento, con un cast di comprimari che tutto sommato sa il fatto suo: Ana De Armas (che aveva già lavorato fianco a fianco con Craig in Cena con delitto - Knives Out) con la sua Paloma mette in scena un’agente alle prime armi, non la solita Bond Girl a cui siamo stati abituati per anni. Anche Lashanna Lynch nel ruolo dell'agente doppio zero rivale è un personaggio decisamente atipico, tanto muscolare quanto incerto nella sua esecuzione. Un po' un peccato per il villain interpretato dal comunque bravissimo Malek, un cattivo macchiettistico che avrebbe davvero potuto mettere sul piatto la nemesi bondiana perfetta ma che invece si risolve in molte chiacchiere e pochi fatti.

A brillare (fortunatamente) in maniera indiscussa è ovviamente Daniel Craig, in grado di donare al suo 007 un ultimo, epico sforzo in grado di farlo entrare di diritto nella leggenda. Nonostante le cicatrici di una vita passata ad affrontare pericoli, amori e tradimenti, Bond ha ancora la forza necessaria a intraprendere un'ultima e pericolosa missione ad alto rischio, prima del suo definitivo addio allo smoking della spia inglese. No Time to Die è quindi un film di James Bond in grado tutto sommato di soddisfare il fan storico, grazie anche e soprattutto alla capacità - ancora una volta - di portare un tocco di umanità al personaggio ideato da Fleming ormai tanti anni fa. Peccato solo che l'ultima pellicola di Fukunaga non si sia rivelata essere l'epica conclusione che molti speravano, nonostante il finale, emozionante e a tratti commovente, riuscirà senza dubbio a rimanere impresso nella mente dello spettatore per un bel po' di tempo. Un brindisi a Craig, quindi, con il nostro Vodka Martini agitato, non mescolato. E un arrivederci all'agente segreto più famoso del mondo.