Deathloop | Intervista all'Art Director Sebastien Mitton

Abbiamo intervistato l'Art Director di Deathloop Sebastien Mitton che ci ha raccontato come si rende attuale un gioco ambientato negli anni '60.

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a cura di Martina Fargnoli

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Abbiamo intervistato Sebastien Mitton, art director e co-creative in Arkane Lyon, riguardo alle fonti di ispirazione per lo sviluppo di Deathloop e l’isola di Blackreef. L’immenso lavoro che c’è dietro il processo creativo che parte da idee, riferimenti e prende tutte le influenze provenienti dal mondo e dall’esperienza per trasformarle in un’opera unica. L’importanza, inestimabile, per un team creativo di lavorare a un progetto nuovo, che offre stimoli e pone sfide allettanti.

Quando abbiamo iniziato a lavorare al gioco non sapevamo che sarebbe stato ambientato negli anni Sessanta. Volevamo lasciarci alle spalle l’era Vittoriana del mondo di Dishonored, cercavamo qualcosa di nuovo per noi in quanto creatori, game designer e artisti. Per testare qualcosa di nuovo ci siamo concentrati su un’era più moderna, ma è solo quando è stato definito il concetto di loop temporale, e che le persone avrebbero vissuto una festa eterna, che ho pensato agli anni '60.

Gli anni Sessanta sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti culturali ma anche contrasti e divisioni su temi importanti. La libertà di esprimere sé stessi trovava sfogo in ogni campo artistico, dalla musica alla letteratura, ma è stato un periodo denso soprattutto di rivoluzioni sociali, di proteste e di eventi storici che hanno segnato gli anni a venire. Ho pensato che fosse un periodo molto interessante da esplorare. Ci racconta Mitton.

Abbiamo ripreso il tono degli anni '60, i dialoghi, l'abbigliamento, l'atmosfera generale e l'ambiente. Abbiamo sì guardato agli anni Sessanta, ma non abbiamo semplicemente copiato le ispirazioni perché il gioco si svolge in un mondo che non esiste del tutto. Sembrano gli anni '60 ma in termini di caratterizzazione è più vicino al 2020. L'eroe, ad esempio, è nero e negli anni '60 questa non era una possibilità. In Arkane ci piace creare questi contrasti per dare un taglio nuovo alle nostre esperienze, sorprendente e che alle persone piacerà.

Non vogliamo copiare ciò che esiste già, vogliamo crearlo. Per Deathloop tutto è stato elaborato nei minimi dettagli. Basta dare uno sguardo agli abiti dei personaggi – Mitton, tra l’altro, discende da una famiglia di sarti italiani – per accorgersi del minuzioso lavoro che è stato svolto nell’esplorare i tessuti, i colori, le forme. La stessa attenzione si ritrova nell’isola di Blackreef, ma si ritrova anche il contrasto tra un’ambientazione molto fredda e l’esplosione di colori di una festa senza fine. Come fai a vivere una festa infinita, ad essere felice di vivere dove sei, se sei un NPC? Allora abbiamo avuto l’idea di aggiungere le maschere e di creare un’evoluzione per questi personaggi durante il corso della giornata. All'inizio potrebbero essere vestiti normalmente mentre durante il giorno acquisiscono più colore.

Ogni momento in Deathloop è infatti scandito da un arco temporale suddiviso in Mattina, Mezzogiorno, Pomeriggio e Sera. In ciascuno di questi momenti le aree del gioco e i personaggi subiscono il passaggio del tempo e quindi sono intenti a svolgere diverse attività, si aprono nuove possibilità per il giocatore (alcune dipendenti dalle sue azioni), ma tutto è coerente grazie all’ingegnoso stratagemma del loop. Abbiamo isolato nel ghiaccio l’isola di Blackreef, perché volevamo isolare il loop. In tutti i film su loop temporali, libri o giochi, tutto si svolge sempre in un unico posto. Il loop non ha mai effetto sull'intero mondo. Dovevamo ricreare questo ambiente più intimo e siamo partiti da lì, aggiungendo livelli e strati.

SEGUONO SPOILER PER CHI NON HA GIOCATO IL GIOCO

Dare un'anima a Deathloop

Conferire un’anima al gioco è ciò che lo rende più vivo e interessante. Creare un vissuto e ricreare un passato per i luoghi che si esplorano è qualcosa che Arkane aveva già fatto molto bene anche in Dishonored 2. Abbiamo creato una linea temporale che spiega com'era l'isola negli anni Trenta. Ci sono stati i primi esperimenti con le forze militari che sono arrivate sull’isola e hanno costruito i Bunker. Molti giovani amano scattare foto di luoghi abbandonati; è un po’ come aver riportato Chernobyl sull’isola. C’è un passato, ancora visibile sull’isola, ma poi si arriva agli anni ‘60 quando i Visionari arrivano a capire come funziona il sistema di riavvolgimento. Prima un’ora, poi due, fino ad arrivare a ottenere un ciclo temporale completo di 24 ore.

Viviamo in città che sono qui dall'epoca romana, respiriamo la storia che è intorno a noi in ogni momento ed è così interessante. Non vogliamo che il giocatore senta di trovarsi su un set di Hollywood dove quando ti guardi a destra, o indietro, ti accorgi che è tutto vuoto, costruito come se fosse solo un guscio. Quest’anima nutre la narrazione, dà idee ai game designer, aiuta a dare senso ai personaggi.

Guardiamo alla realtà, a ciò che accade intorno a noi. Vogliamo prendere elementi specifici qua e là e ispirarci alle persone che sono intorno a noi in termini di politica, scienza e arte in generale. Oh, Elon Musk sta facendo questo. E se Aleksis fosse un po’ come lui? Se avesse tanti soldi e potesse dare vita a tutti i suoi progetti? Abbiamo tutti questi tasselli con i personaggi e ognuno ha una sua concezione di cosa sia la vita eterna. Per qualcuno è scienza, per qualcun altro è una festa perché è un giovane miliardario che non ha paura di vivere e può fare ciò che vuole. Queste informazioni all’inizio non le abbiamo ed è solo quando abbiamo una solida biografia dei personaggi che il dipartimento artistico inizia a disegnare.

Il processo prevede scambi continui con gli altri dipartimenti. Ritorniamo dal team narrativo con le immagini e loro pensano ad altre idee... e se per la festa di Aleksis tutti indossassero una maschera da lupo? Ok fantastico, disegniamo una maschera da lupo. Ma perché maschere da lupo? Andiamo avanti e indietro, ci diamo feedback a vicenda in modo che il gioco si incanali sempre di più nella giusta direzione.

Non ho potuto viaggiare per questo progetto. Ci spiega Mitton quando gli chiediamo come è stato il processo di ricerca per le diverse fonti del gioco. Conoscevo l'architettura dell'Inghilterra, di Edimburgo. Blackreef è basata sulle Isole Faroe. Non sono andato sull’isola a scattare foto, ma abbiamo persone del team che sono andate lì in vacanza, quindi, hanno raccolto tantissime foto delle spiagge e delle scogliere. Ho riferimenti ancora più estremi dal Polo Nord e Sud e delle zone molto a sud dell'America del Sud. Le esploro con le foto satellitari di Google Earth e osservo come interagisce la natura, come si muovono i fiumi e i segni che lasciano al loro passaggio.

Anche la modalità Street View può fornire preziose immagini. Ad esempio, in alcuni luoghi come la Russia, ci sono queste riprese da una motoslitta che ti permettono di andare da un porto a stazioni di estrazioni del petrolio. Questa stazione non è accessibile per 10 mesi all'anno, quindi per 10 mesi sei bloccato lì. Puoi vedere come è stato creato una sorta di centro urbano con un casinò e i negozi. Lì ci vivono per dieci mesi. Ho pensato che fosse così interessante ed estremo. Ho ancora in mente quelle immagini. Come facciamo a essere creativi? Per me è attraverso il viaggiare, certo è un viaggio attraverso Google, ma ha scosso ciò che pensavo di sapere sulla vita, la morte e la sopravvivenza. Tutto questo mi fa pensare al gioco in termini più ampi.

Creare un’opera è un processo continuo

Abbiamo chiesto a Mitton, tra tutti gli elementi a disposizione di un’artista, cos’è che conferisce maggiormente il tono a un’opera: il colore e l’illuminazione o il dettaglio dell'ambiente? È dato dall’insieme. In quanto artisti volevamo che il gioco fosse straordinario come al cinema, ma in un cinema lo schermo è di fronte a te, mentre per noi l’esperienza è a 360 gradi. Deve essere bello ma deve anche essere giocabile. Devi poter essere in grado di camminare, avere armi, usare poteri con i nemici. Ci sono sfide diverse ma con l’esperienza maturata in Arkane siamo diventati esperti nel creare questa tipologia di giochi molto densi, con tanta narrazione intorno al giocatore, ma sai sempre che ci sono sfide. L’illuminazione è molto importante, ci mettiamo molta energia perché sarà quella che guiderà il giocatore. Se c’è troppa luce, se ci sono troppi colori, il giocatore perde di vista l’obiettivo.

Allo stesso tempo, però, in Deathloop volevamo che il giocatore si perdesse, che non significa necessariamente che perdesse tempo, ma che si divertisse. Vogliamo che il giocatore provi attività, trovi note, trovi registrazioni che diano più informazioni sul mondo. Questo gioco è un mondo molto più aperto, non dico che sia un vero Open World, ma puoi approcciarlo in modo più libero e in termini di densità è qualcosa su cui abbiamo lavorato molto.

Ci sono molti volumi che enfatizzano gli spazi negativi e positivi. Si inizia con un’immagine e poi si completa con il Set Dressing. Devi posizionare tutti i diversi oggetti, quelli molto piccoli e quelli più grandi per visualizzare la scala di ciò che hai davanti gli occhi. In Karnaca, ad esempio, se guardi dalla prospettiva della nave, le montagne – presupponiamo si parli del Picco Shindaerey ndr - hanno una certa scala ma se ti avvicini hai come l’impressione che ti stiano schiacciando perché sono più grandi di quanto non siano in realtà. Possiamo giocare con la lunghezza focale della fotocamera per trasmettere il movimento.

Affascinati da tutti i retroscena sullo sviluppo, abbiamo chiesto a Mitton di spiegarci le fasi della creazione di concept art. Dura per tutto lo sviluppo del gioco. Non è mai abbastanza. C’è sempre una squadra che ha bisogno di più concept art. Inizia dal primo giorno in cui dobbiamo tradurre visivamente un pitch. Non appena abbiamo idee proviamo a modellarle visivamente col disegno, il 3D o un mix di entrambi i modi. Per Blackreef abbiamo fatto diverse iterazioni 3D, le abbiamo guadate e ci siamo chiesti: cosa proviamo quando siamo su quest’isola? E quindi abbiamo rimodellato, cambiato l’illuminazione, aggiunto il ghiaccio e di nuovo rimodellato.

Quando creiamo un gioco, all’inizio, realizziamo un Vertical Slice, cioè mostriamo solo un pezzo del gioco con quasi tutte le funzionalità. Potrebbe non essere presente tutta la narrazione o potrebbero non esserci tutte le armi, ma in un livello si cerca di inserire tutto il necessario. Per Deathloop abbiamo iniziato con Updaam e abbiamo testato la pittura sul muro, i primi veicoli e la neve. Deve esserci? Non deve esserci? Certo che deve esserci, ma la sua presenza varia a seconda dell’ora della giornata. È così che testiamo tutti i diversi concetti. Alla fine dello sviluppo tocca alle armi e ai gadget, poi ai poster per la narrazione perché finalmente c’è il testo definitivo. Ci sono le copertine dei vinili da realizzare. Fino all'ultimo giorno c'è sempre bisogno di qualcosa.

Viste le molteplici influenze cinematografiche dietro Deathloop, abbiamo colto l’occasione per chiedere a Mitton cosa ne pensa dello stretto rapporto ormai esistente tra cinema e videogiochi. Alcuni giochi lo gestiscono trasformando l’IP di un film in un gioco, a volte però proprio non funziona. In questi universi ci sono spesso così tanti ruoli già stabiliti che è semplicemente difficile trasformarli in un gioco interessante.

Alcuni ci riescono, come Riddick. Con le IP grandi non è facile. Se hai una certa finestra creativa per basarti su un determinato universo, è una sfida, ma se ci sono anche molti investimenti allora probabilmente c’è la volontà di farlo bene, ma se sta uscendo un film e deve uscire un videogioco contemporaneamente, non funzionerà perché entrambi sono sviluppati nello stesso momento. Ciò che avviene nel film avrà un impatto sul gioco e il gioco influenzerà il film. Di videogiochi che sono stati trasformati in film, ne conosco alcuni ma non hanno avuto un grande impatto su di me.

Per Dishonored è stato davvero difficile perché non avevamo molti film a cui attingere per l'era Vittoriana. C’era Peaky Blinders, ma non molto altro. Abbiamo letto molti libri, molti appunti su come la peste ha avuto luogo e molte informazioni le abbiamo prese dai musei, mentre per Deathloop abbiamo preso ispirazione da tanti programmi televisivi.

Sono nato nel ‘74, quindi la Twilight Zone – che dà il titolo alla famosa serie TV Ai confini della Realtà - e il Triangolo delle Bermuda erano temi molto presenti negli spettacoli televisivi. Sono stati una grande fonte di ispirazione. The Avengers – Agente Speciale in italiano - e Il prigioniero, hanno un'atmosfera molto spensierata per gli anni Sessanta. Un altro dei temi è James Bond Vs. Tarantino che ha coperto molto gli anni '60, ma lo ha fatto con un tono particolare su argomenti molto sensibili che ci piace particolarmente.

I riferimenti da film e giochi ispirano tutti, tranne forse i programmatori, ma level designer, art designer, campaign designer, modellatori di personaggi, concept artist, ognuno ha le proprie influenze. Possiamo riunire tutto e scambiarci i link. Lo sapevi questo? Guarda questo posto! E ci dà costantemente nuova benzina per la nostra immaginazione. Le persone iniziano a disegnare o testare situazioni, scrivere dialoghi e questo è davvero bello.

Prima di salutare Mitton gli abbiamo chiesto come si sentisse ora che il gioco è stato finalmente pubblicato ed è nelle mani dei giocatori che ci stanno giocando. È andata bene, abbiamo avuto l'opportunità di prenderci un po' più di tempo per rifinire il gioco. Non che ci stessimo nascondendo dietro il Covid, ma il Covid ha avuto un grande impatto sul nostro modo di lavorare. Sono ancora a casa, siamo ancora tutti a casa per rispettare le regole sulla distanza sociale e questo ci ha davvero colpiti. È stata un’ulteriore sfida, come anche testare bene il gioco.

Volevamo davvero un’alta qualità, quindi è stato davvero fantastico avere più tempo a disposizione e l'accoglienza da parte della stampa – potete leggere la nostra recensione a questo link – è stata positiva così come quella dei giocatori. Siamo molto vicini ai nostri fan sui social media e vediamo le reazioni. Stiamo ancora lavorando per cercare di migliorare il gioco. È davvero fantastico perché è una fase di extra polishing. Abbiamo un panel di giocatori molto più ampio e molte più informazioni.

Abbiamo molti tester e team che lavorano su questi aspetti e ci danno feedback, non soltanto sui bug, ma anche su calibrazioni alle armi o sull’accessibilità. Abbiamo pochissime reazioni negative che è quasi strano. Quando lavori per quattro anni su qualcosa e ci metti tutto il tuo cuore, hai sempre paura di come verrà accolto. Poi è arrivato il 14 settembre ed è volato via. Il gioco è finito. Siamo così felici e abbiamo festeggiato come abbiamo potuto con una festa davanti al computer, tutti contenti e positivamente sorpresi.