Metro Exodus Recensione

Metro Exodus è l'ultimo capitolo della serie post-apocalittica nata dalla penna di Dmitrij Gluchovskij, ecco la nostra recensione.

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a cura di Michelangelo De Cesare

La storia dello scorso secolo ha lasciato il genere umano ferito, saccheggiato nell’animo da due Guerre tanto brutali quanto sanguinose, una più dell’altra; i velati e precari nuovi equilibri politico-economici fra Est e Ovest che ne conseguirono scissero il mondo nella seconda parte del ventesimo secolo, portando il pianeta sull’orlo di una guerra nucleare senza scampo, per nessuna fazione. Il concetto di deterrente abbracciato dalle parti in causa esasperò la ricerca e lo sviluppo di armi atomiche, su cui ancora oggi tanto si discute.

La tragicità di situazioni ed eventi connessi all’incertezza di tale scenario segnarono indelebilmente le generazioni limitrofe a quelle successioni di fatti, influenzando fortemente anche la cultura che ne fu immediatamente successiva. La memoria dei rischi corsi si è così mescolata alla ricerca di una dignità nuova e più consapevole: letteratura e cinema hanno a più riprese mostrato le possibili ripercussioni di una guerra nucleare su vasta scala, sfruttando la funzionalità mediatica da cui vengono sorretti come strumento di coscienza, oltre che di mera conoscenza.

I romanzi della serie Metro scritti dal russo Dmitrij Gluchovskij ne sono un fulgido esempio, una rappresentazione lucida e flagellante di come la vita possa cambiare e a stento sopravvivere dopo un olocausto atomico.

Nel 2010 lo sviluppatore ucraino 4A Games diede vita al racconto di Dmitrij Gluchovskij ambientato nella metropolitana di Mosca con Metro 2033 e, successivamente, Metro Last Light, first person shooters dalle sfaccettature horror in cui meccaniche survival e stealth assecondano una caratterizzante anima narrativa. A distanza di sei anni dalla pubblicazione del secondo capitolo arriva ora Metro Exodus, terzo atto delle avventure di Artyom, che promette di sfruttare le possibilità hardware di PS4, Xbox One e PC per rivoluzionare il gameplay della serie di 4A Games, preservandone l’impronta narrativa e i tratti tipici.

Esodo

I fatti narrati nei primi due episodi vedono il nostro alter ego intraprendere un viaggio ricco di pericoli e ostacoli di qualsivoglia natura per salvare la popolazione della Metro moscovita. Questo percorso porta il giovane Artyom a divenire membro dell’Ordine di Sparta, un gruppo paramilitare dedito alla protezione delle popolazioni della metropolitana.

Ispirato all’ultimo dei romanzi di Dmitrij Gluchovskij, Exodus ci porta nuovamente a vestire i panni di Artyom. Sposatosi con Anna, la bella e determinata figlia del Colonnello Miller – il leader dell’Ordine di Sparta – Artyom sogna un futuro lontano dal giogo opprimente della Metropolitana e delle mostruosità nate dalle radiazioni che hanno reso Mosca una terra arida e inospitale. È proprio tenendo saldamente a sé quest’idea che gli eventi del prologo di Metro Exodus conducono il protagonista e suoi compagni ad abbandonare la Metro in cerca di una nuova speranza a bordo dell’Aurora, treno a vapore che li conduce in un esodo per la sopravvivenza lungo un intero anno.

In questo lasso di tempo l’alternanza delle stagioni coincide con il sopraggiungere di nuove e differenti insidie, legate a doppia mandata alle novità di gameplay introdotte con Exodus: attraversando ciò che resta della vecchia Russia, Artyom e gli Spartani si trovano a esplorare vaste regioni dalle caratteristiche uniche dove mostri e fanatici di ogni genere fanno di tutto per ostacolare la ricerca di una destinazione finale tanto sfuggente quanto ambita.

Nonostante alcuni passaggi telefonati e meno riusciti di altri, la bontà narrativa dei precedenti capitoli non viene meno, mantenendo centrale il focus sull’intreccio e suoi personaggi – e in particolare fra ciò che li lega – sempre al centro dell’attenzione. Ciò che ne deriva è un plot che non brilla per articolati colpi di scena, ma per l’empatia che riesce a generare verso i suoi personaggi e la loro sorte, registrata sui canonici cliché del viaggio della speranza ma anche intimamente connessa al ruolo del giocatore, protagonista e osservatore dei momenti di unione e disagio che frastagliano il percorso dell’Aurora e dei suoi passeggeri nelle circa 15-20 ore necessarie per portare a termine l’avventura.

Addio metropolitana

Dal punto di vista del gameplay, questo nuovo modello svincolato dal serrato concept della Metropolitana che abbiamo conosciuto nei primi due capitoli permette alla serie di ossigenare a dovere il sistema di gioco originale: le diverse regioni visitate a bordo dell’Aurora hanno vita propria, sono popolate da differenti tipi di nemici e subiscono gli effetti climatici in modo territoriale.

Si può così pensare alle mappe di gioco principali come a dei veri e propri sand-box open-area in cui a un’arteria centrale dedicata al proseguo della storia si affiancano delle ramificazioni complementari, obbiettivi secondari volti ad approfondire la lore del titolo e a collezionare oggetti e risorse uniche conquistando zone nemiche o raccogliendo specifici oggetti spostandosi da una parte all’altra della mappa, senza gloria né infamia.

Gli acquitrini attorno al fiume Volga e il deserto sabbioso del Caspio, fra gli altri, diventano così teatro di lunghe sessioni di esplorazione, oltre che di numerosi scontri con mostri e fazioni locali. Grazie al ciclo giorno/notte è possibile scegliere quando e come approcciare un bersaglio, sfruttando magari il calar delle tenebre per cogliere di sorpresa le fortificazioni nemiche.

L’impostazione resta quella tipica della serie Metro, dove una spiccata componente dedicata al crafting di armi ed equipaggiamenti – reso ora più intuitivo - incide in modo decisivo sul gameplay: raccogliere materiali per preparare kit medici, munizioni e filtri per la maschera anti-gas resta di centrale importanza per affrontare al meglio gli scontri, così come la possibilità di creare delle varianti personalizzate di ogni arma. Nello specifico tutte le bocche da fuoco possono essere preparate per schermaglie d’ogni genere sfruttando lo zaino per le modifiche più semplici e i tavoli da lavoro sparsi qua e là per le mappe per le lavorazioni più complesse e la manutenzione. Possedendo le componenti giuste bastano davvero pochi istanti per trasformare un classico revolver per conflitti ravvicinati in una letale arma dalla distanza installando un calcio di fortuna, un’ottica e un silenziatore; agire in modo discreto e furtivo rimane quindi un’opzione appagante per i giocatori più esperti e diventa uno stimolo aggiuntivo per i neofiti della serie.

Nei fatti, tuttavia, l’ampiezza delle mappe e la conseguente maggior presenza di risorse da raccogliere e la molteplicità di approcci possibili fanno venire meno una parte di quella ricerca di strategia e furtività imposta dalla scarsezza di munizioni tipica delle gallerie esplorate sotto le rovine di Mosca nei giochi precedenti.

Ciò che resta quasi inalterato invece è il senso di pesantezza e rigidità dei movimenti di Artyom, contestuale all’esperienza survival delle origini ma meno indicato per le grandi aree in cui si mescolano necessariamente scontri a fuoco diretti e incursioni silenziose in stile “Far Cry” di Exodus.

La mancanza di fluidità nelle fasi shooting tende in sostanza ad avvilire parzialmente il comunque divertente gunplay di questo titolo, poco sostenuto anche a causa di avversari mossi da un’intelligenza artificiale al di sotto degli standard attuali.

I momenti migliori del titolo di 4A Games restano così le sezioni al chiuso, i passaggi claustrofobici in cui ogni angolo potrebbe celare una trappola, una creatura letale. Quegli spazi piccoli e limitati in cui la soffocante pressione di un setting così ostile accende in modo repentino intensità e coinvolgimento. Il grande pregio di Metro Exodus è proprio quello di riuscire a bilanciare in modo funzionale e divertente livelli lineari, ricchi di azioni scriptate spettacolari e coinvolgenti con la novità di sezioni aperte da esplorare liberamente adottando lo stile che si preferisce, dando il meglio di sé nella parte finale dell’avventura.

Il passaggio delle stagioni e il viaggio fra i diversi setting friziona fra loro nuovo e vecchio, polarizzando assi di gioco diversi che riescono a far quadrare il ritmo verso un equilibrio di gameplay che, nel suo complesso, riesce ad accontentare tutti. Per fare un esempio il livello ambientato nella zona del Caspio mette sul piatto dei contenuti sia angusti bunker antiatomici zeppi di segreti da esplorare che dune sabbiose a perdita d’occhio, dove scorrazzare con mezzi di trasporto di fortuna in pieno stile Mad Max.

La nota di merito conclusiva va però all’eccellente realizzazione tecnica e all’accompagnamento sonoro di buon livello del mondo di Metro Exodus, che riesce a trasmettere a pieno il senso di desolazione e pericolo che attanaglia l’intero viaggio dell’Aurora: a dispetto di qualche calo di fluidità in alcune delle fasi più concitate, il colpo d’occhio generale è sempre di alto livello e gode di un orizzonte visivo più che apprezzabile. La contrapposizione fra la l’illuminazione naturale degli ambienti esterni e quella artificiale dei luoghi chiusi regala giochi di luce e riflessi pregevoli, che uniti ai tanti effetti grafici presenti restituiscono un’immagine viva e sempre ricca di dettagli.