Al Forum Ambrosetti di Cernobbio è stato presentato un rapporto a dir poco deprimente sullo stato dell'arte dell'innovazione digitale italiana. Cifre inequivocabili e proposte per uscire dal tunnel. Lapidario il guru del Movimento 5 Stelle, Gianroberto Casaleggio: la colpa è dei politici che non capiscono Internet e sono dunque perdenti.
"Mostratemi un candidato che non capisce Internet e io vi farò vedere un perdente", ha detto ieri Gianroberto Casaleggio, sceso nell'arena del Forum Ambrosetti di Cernobbio per parlare di "Strategie competitive". Demagogico, velleitario? Può darsi. Il punto non è la simpatia/antipatia del guru del Movimento 5 Stelle, bensì la congruità delle sue affermazioni specifiche: Internet sta alla politica e all'economia italiana (quelle che contano) come il cavolo a merenda.
L'innovazione digitale italiana è deprimente
Una conferma? Proprio a Cernobbio è stato presentato il drammatico "Stato dell'arte" del Paese. Un approfondito rapporto di 91 pagine realizzato da The European House – Ambrosetti per Poste Italiane. Leggerlo fa venire un colpo al cuore, perché vengono fuori, nero su bianco, le cifre della nostra arretratezza tecnologia e le responsabilità del divario accumulato negli anni. Nessuno può dire "io non c'ero", perché dal 2000 ad oggi hanno governato proprio tutti: destra, sinistra e centro. Per dirla con Casaleggio, politici che non capiscono Internet e dunque perdenti.
Dice il Rapporto "Stato, cittadini e imprese nell'era digitale" che "L'Italia dal 2000 promuove iniziative di modernizzazione, ma la transizione digitale è ad oggi largamente incompiuta.
- L'utilizzo dei servizi di e-Government è molto basso: solo il 17% dei cittadini tra i 16 e 74 anni interagisce con la Pubblica Amministrazione via Internet, contro la media del 40-50% nei principali Paesi europei.
- Il commercio elettronico è marginale: siamo terz'ultimi in EU-27 per volumi.
- I sistemi di pagamento on-line sono poco diffusi: abbiamo un quarto delle transazioni per abitante di Francia, Germania e Regno Unito.
- Le infrastrutture avanzate per le comunicazioni sono arretrate: ad esempio le connessioni a 30 Mbps raggiungono solo il 14% delle abitazioni contro una media UE-27 del 52%.
- Delle 30 misure previste per l'implementazione dell'Agenda Digitale Italiana (istituita nel 2012 con 2 anni di ritardo rispetto all'Agenda Digitale Europea) solo 4 hanno decreto attuativo, 20 sono in ritardo, le rimanenti non hanno scadenze fissate.
- A fronte delle molteplici iniziative di innovazione e digitalizzazione dei servizi lanciate, il moltiplicarsi di progetti, piani, protocolli e programmi non ha innescato processi strutturati di innovazione.
- L'implementazione dei processi è frenata da criticità strutturali. Tanto i piani nazionali di e-Government, quanto il Codice per l'Amministrazione Digitale e l'Agenda Digitale, non hanno dispiegato i loro effetti sul sistema-paese a causa di:
- Governo inefficace dei processi di digitalizzazione e sovra-burocratizzazione.
- Scarse competenze tecnologico-operative nelle PA.
- Inadeguatezza delle infrastrutture e rischio di marginalizzazione per mancanza di sicurezza informatica (cyber security).
- Interessi diffusi a mantenere lo status quo e la resistenza alla trasparenza dei processi.
Mancato ingaggio dei cittadini e il digital divide, anche culturale.
- Attualmente, il quadro sulla governance italiana è complesso a causa dell'assenza di un chiaro indirizzo centrale e della frammentazione a livello locale; ritardi burocratico-procedurali frenano inoltre la realizzazione operativa delle misure prese.
- L'utilizzo della dotazione infrastrutturale e della base informatica del Paese non è ottimizzata. Si stima che esistano più di 1.000 data center solo a livello di PA centrale e altri 3.000 a livelli di PA locale e sanità. Solo il 25% delle macchine è pienamente utilizzato ed i costi di gestione ammontano a quasi 6 miliardi di euro all'anno.
- In questo quadro non è garantita l'interoperabilità e il patrimonio informativo nazionale è fortemente polverizzato con significativa difficoltà a ricostruire le la base di dati.
- In tema di cyber security, l'Italia non è un Paese di riferimento: gli attacchi informatici hanno prodotto danni nell'ordine di 10/15 miliardi di euro e siamo uno dei pochi Paesi avanzati che non dispone - ancora - di un CERT nazionale, una struttura dedicata per la risposta ad emergenze informatiche.
- Analisi della domanda e rilevazioni puntuali sulle priorità percepite dai cittadini sono raramente ricollegate al processo di definizione e digitalizzazione dei servizi; un "approccio tecnologico" all'innovazione porta a riprodurre in formato digitale i servizi tradizionali, senza reingegnerizzazione dei processi interni alle amministrazioni".
Solo il 17% dei cittadini interagisce con la Pubblica Amministrazione via Internet
Questi i punti chiave del Rapporto presentato a Cernobbio, che pure propone soluzioni per venire fuori dal cul di sacco in cui si è pervicacemente infilato il Paese. Il ritardo digitale costa fino a due punti di PIL, si è detto al Forum Ambrosetti e la ricerca propone un impietoso confronto con gli altri paesi europei.
E la ricetta? Basterebbe copiare da chi, oltre le Alpi, ha già fatto e bene:
- Promuovere una governance chiara ed efficace della digitalizzazione del Paese. Distinguere tra ruolo di coordinamento e indirizzo dello Stato e ruolo di attuazione da assegnare ad attori competenti e leader nei mercati di riferimento.
- Garantire un forte presidio nazionale per la cyber security e ingaggiare i cittadini nella transizione digitale.
- Realizzare il portale unico nazionale dei servizi di e-Government come progetto catalizzatore.
- Lanciare una "terapia d'urto" per gestire la fase di transizione e accelerare i processi di digitalizzazione.
Fin qui il Rapporto di The European House – Ambrosetti. Manca qualcosa: un ceto politico all'altezza del compito, che twitti meno e faccia di più.
Si può leggere tutto il Rapporto in formato PDF a questo link.