Apple si apre alla trasparenza, pungola Google sulla privacy

Apple ha pubblicato un rapporto sulle richieste di dati sui propri utenti ricevute dai governi del mondo.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Apple ha pubblicato un documento (PDF) nel quale riporta le richieste di dati che ha ricevuto dai governi mondiali, mettendosi così al passo con quanto fatto da Google, Microsoft e altri. Le informazioni includono tutto ciò che Apple è legalmente autorizzata a diffondere, il che in effetti non è molto; l'azienda di Cupertino e altre in passato hanno chiesto (la lettera in PDF) a Washington la libertà di essere più trasparenti, con scarso successo.

La pubblicazione è parte di uno sforzo che non riguarda solo un sano interesse verso la trasparenza: le aziende, semplicemente, non vogliono figurare come complici nelle operazioni di spionaggio messe in atto dalla NSA, di cui abbiamo parlato più volte anche su queste pagine, e preferiscono apparire ai cittadini come "paladine" della privacy - un ruolo che non è comunque molto credibile.  

In ogni caso si tratta di un documento importante, che ci dice almeno qualcosa sulle autorità dei vari paesi che si rivolgono a queste società per indagare sui propri cittadini. Operazioni che, è bene ricordarlo, sono generalmente vincolate a indagini per reati veri e propri - non si tratta sempre di spionaggio a tappeto sui metadati.

Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, Apple ha ricevuto 60 richieste per un totale di 76 account. Per 18 di questi l'azienda ha acconsentito, mentre in 34 casi ha rifiutato; per 38 utenze poi sono stati rivelati dati "non di contenuto", quindi probabilmente metadati appunto, mentre per altre 22 non è stato diffuso nulla. In totale Apple ha risposto con "qualche informazione" al 37% delle richieste italiane.

Dalla tabella risulta poi evidente come gli Stati Uniti limitino le informazioni pubblicabili in modo sostanziale rispetto ad altri paesi. "Il governo statunitense non permette ad Apple di diffondere, tranne che in forma di ampie forbici, il numero di account raggiunti, il totale delle richieste o se i contenuti sono stati trasmessi. Ci opponiamo con fermezza a questo ordine di silenzio", commenta Apple.

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Oltre ai numeri e alle implicazioni legali è interessante il commento di Apple al documento. "Il nostro business non dipende dalla raccolta di dati personali", si legge infatti nelle parole che accompagnano la tabella. "Non abbiamo interesse nell'accumulare informazioni personali sui nostri clienti.Proteggiamo le conversazioni personali con crittografie end-to-end su iMessage e Facetime. Non conserviamo dati di localizzazione, ricerche sulle mappe o richieste a Siri in alcuna forma identificabile. A differenza di molte altre società, l'interesse commerciale primario di Apple non riguarda la raccolta di informazioni".

Ci sono molti modi d'interpretare queste parole, e quasi tutti includono un attacco diretto a Google e Facebook, aziende che appunto fanno mercato delle informazioni personali dei propri utenti. Insomma, Apple sembra volerci dire che è meglio di Google (e altri) perché non tratta i propri utenti come un prodotto. Il che effettivamente sarebbe coerente con l'idea che "se non paghi qualcosa allora il prodotto sei tu", ma d'altra parte il semplice pagare non ci mette sempre al riparo da una gestione superficiale della nostra privacy.