Astronauti su Marte, nessuna simulazione può prepararli

Secondo uno studio pubblicato da un docente di Scienze Cognitive le simulazioni che stiamo facendo in vista delle missioni su Marte sono poco indicative.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Un anno a bordo della ISS o chiusi in una base in Antartide serve per capire come vivremo su Marte. Almeno questo è quello che la maggior parte degli scienziati ci ha raccontato fino ad oggi, ma è vero? Probabilmente la risposta definitiva ce la daranno solo gli astronauti che davvero per primi metteranno piede sulle polverose rocce del Pianeta Rosso, nel 2030 o giù di lì. Intanto su ScienceDirect è stato pubblicato uno studio che fa venire qualche dubbio, anzi, che ipotizza che l'utilità di questi sforzi sia relativa perché ci sono molti aspetti della vita su Marte che sono praticamente impossibili da simulare qui sulla Terra.

Simulazione alle Hawaii

Simulazione alle Hawaii

Konrad Szocik, professore in Scienze Cognitive presso la University of Information Technology and Management di Rzeszow (Polonia) e autore principale dello studio, ha infatti spiegato che "non possiamo ricostruire le stesse condizioni fisiche e ambientali di Marte. Caratteristiche come per esempio la microgravità marziana o l'esposizione alle radiazioni. Di conseguenza non siamo in grado di prevedere gli effetti fisici e biologici a cui saranno soggetti gli esseri umani che vivranno su Marte".

Morale: "la consapevolezza del cammino con suo complesso e di tutti i possibili pericoli" non può essere simulata sulla ISS, in Antartide, o in qualsiasi luogo remoto della Terra. Inoltre Szocik fa notare che le persone in Antartide non avranno comunque la necessità di fare affidamento su un supporto vitale artificiale nella stessa misura in cui dovranno farlo gli astronauti.

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Questo non significa necessariamente che tutti gli sforzi fatti finora siano inutili. Senza dubbio l'addestramento a cui sono sottoposte le persone che devono passare un anno in Antartide o sulla ISS è utile a chi si candida come colono marziano, perché insegna ad adattarsi ad ambienti e condizioni difficili. Però manca il passo ulteriore, ossia proiettare le menti e i corpi delle persone alla vita su Marte.

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Scott Kelly, un anno sulla ISS

Il discorso potrà sembrare campato in aria, ma in effetti quello che ha fatto Szocik è spostare l'attenzione sulla persona. Finora sembra che la colonizzazione di Marte consista in una sfida tecnologica. Una sfida per combattere le radiazioni, produrre/estrarre acqua, costruire abitazioni, coltivare cibo. E trovare i soldi per farlo. La psicologia sembra quasi relegata ai problemi di convivenza nell'ambiente angusto dell'astronave durante il viaggio verso Marte. Come se una volta sbarcati ci si trovasse in Antartide, appunto; freddo e inospitale fin quando si vuole, ma non Marte. L'aspetto sociale all'interno di una colonia marziana sembra di poco interesse. O meglio lo sarà fino al momento in cui i coloni si troveranno su Marte. Un aspetto a cui aveva dato grande risalto per esempio la fiction Marte del National Geographic.

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Marte di National Geographic

Szocik spiega infatti che "l'essere umano è un animale sociale e vive inserito in un gruppo. I problemi di gruppo influenzano sfide e problemi, e dobbiamo considerare come si potrebbero prevenire i problemi tipici degli umani".

Andando oltre, Szocik è anche preoccupato per il problema della riproduzione su Marte, che presupporrebbe oltre a un adeguato supporto tecnologico e medico, la presenza di una comunità sufficientemente vasta da evitare il rischio di consanguineità (si parla di una popolazione di almeno 500 adulti), ma qui ci siamo già spostati nel campo della fantascienza. Ne riparleremo dopo il 2030, forse.