Behavioral targeting amato e odiato

L'ultima indagine statunitense sul behavioral targeting conferma i problemi di privacy relazionati alla pubblicità online

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a cura di Dario D'Elia

TRUSTe, organizzazione non-profit per la protezione della privacy, ha commissionato un'indagine sul behavioral targeting. Il termine altisonante indica semplicemente la tecnica marketing online più in voga del momento basata sull'analisi comportamentale degli utenti. In pratica, in relazione ai siti più frequentati e magari ai contenuti multimediali più condivisi, o scaricati, gli editori o gli inserzionisti si impegnano nel fornire campagne pubblicitarie maggiormente mirate e complementari con i rispettivi gusti.

La società di ricerca TNS Global si è quindi concentrata sulle reazioni degli utenti statunitensi. Ebbene pare che più del 60% dell'utenza sia a conoscenza delle operazioni di monitoraggio commerciale subite, ma solo il 40% conosce esattamente che cosa sia il "behavioral targeting".

La maggioranza degli intervistati sembra storcere il naso di fronte a questa invasione di privacy, ma quando si tratta di giudicare le campagne online il 72% afferma di non vedere soddisfatte le proprie esigenze. La netta maggioranza, inoltre, sostiene che meno di una pubblicità su quattro è profilata sui rispettivi gusti. Insomma, da una parte il desiderio di maggiore privacy è piuttosto condiviso; dall'altra si evidenzia l'inefficienza della pubblicità "a grappolo".

"Non importa quanto assicuriamo l'anonimato, c'è ancora disagio nell'idea del tracking", ha dichiarato il direttore di TRUSTe, Fran Maier, nel comunicato dell'indagine. "Abbiamo prove tangibili che dimostrano che i consumatori vogliono che si individui uno modo per fornirgli la pubblicità che desiderano. Per fare questo, il behavioral targeting è una delle tecniche più promettenti, ma alla fine dovrebbe essere resa più trasparente, fornire scelte diverse e portare un reale valore aggiunto".