Buchi neri: la radiazione di Hawking, teorie o fatti?

La radiazione di Hawking, teorizzata dal fisico britannico nel 1974, è ancora oggi oggetto di studio. Ecco che cos'è e perché è così importante per capire come funzionano i buchi neri.

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a cura di Lorenzo Pizzuti

I buchi neri sono senza dubbio tra gli oggetti astrofisici più affascinanti e intriganti nel nostro universo; emergono naturalmente come conseguenza della Relatività Generale di Einstein e le loro proprietà al limite dell'immaginazione alimentano le più fantasiose teorie, sospese sul filo sottile tra fantascienza e realtà, avvolte da un velo di mistero.

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Foto: © Lonely11 / Depositphotos

L'osservazione del fenomeno delle onde gravitazionali, annunciata dalle collaborazioni LIGO e VIRGO lo scorso febbraio, ha portato nuove conferme sull'esistenza dei buchi neri e su come essi interagiscano tra loro e con l'ambiente che li circonda. Tuttavia la fisica che descrive questi mostri del cosmo è sempre rimasta oscura ai non addetti ai lavori, per via di quel formalismo matematico estremamente articolato che essa richiede.

Buchi neri in parole semplici

Ma è davvero così complicato capire un buco nero?  La risposta è no. Al contrario, i buchi neri sono estremamente semplici da interpretare, ed è proprio in tale semplicità che si esprime tutta la loro bellezza. Sarà un curioso scherzo del destino, ma da quella complessa serie di equazioni necessarie per analizzarli affiorano quattro leggi, conosciute (e probabilmente odiate) da ogni studente di liceo: le leggi della termodinamica.  Esattamente nella stessa identica forma con la quale sono scritte nei libri di scuola. Ed è da questa insolita associazione che si ottiene uno dei più strabilianti effetti della fisica dei buchi neri: la possibilità di radiare energia attraverso l'emissione continua di un flusso di particelle, che può portare alla completa evaporazione del buco nero in questione, fenomeno conosciuto come la radiazione di Hawking.

Ma andiamo con ordine: un buco nero è una regione dello Spazio e del tempo in cui il campo gravitazionale è talmente intenso da impedire a qualsiasi cosa attraversi il confine di tale regione, anche chiamato Orizzonte degli Eventi, di tornare indietro. Persino la luce, in grado di viaggiare alla massima velocità consentita nell'Universo (ben 300000 chilometri al secondo), non riesce a sottrarsi alla tremenda forza di gravità una volta attraversato l'Orizzonte degli Eventi, rimanendo intrappolata al suo interno. E se nemmeno la luce può fuggire da questa zona, ciò che appare all'esterno è solo uno spazio nero.

Già negli anni '70 lo studio teorico sulla struttura dei buchi neri aveva evidenziato alcune interessanti caratteristiche, che possono essere riassunte nel celebre "No-Hair Theorem" (letteralmente "privo di peli"), dimostrato nel corso degli anni combinando i risultati di diverse menti (tra cui Israel, Carter, Penrose e Hawking): indipendentemente dai dettagli della sua formazione, le uniche proprietà che identificano un buco nero sono la carica elettrica, la massa e la sua rotazione, espressa dal momento angolare. Inno alla semplicità! Per descrivere un concetto in apparenza così complicato sono necessarie meno informazioni di quelle che servono per descrivere un tavolo... senza contare che finora dalle osservazioni non si sono riscontrate evidenze di buchi neri dotati di carica elettrica, quindi i nostri parametri sono essenzialmente ridotti a 2!

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A partire da queste grandezze fondamentali, possono essere costruite una serie di altre quantità che, opportunamente relazionate, permettono di creare un parallelismo assolutamente prefetto con le comuni leggi della termodinamica apprese sui banchi di scuola. In questo modo si riescono ad estendere senza troppi sforzi le definizioni di temperatura ed entropia della fisica classica anche al caso di un buco nero.

Ma cosa vuol dire nella pratica che un buco nero possiede una sua temperatura caratteristica? In natura, ogni corpo con temperatura diversa da zero emette radiazione, la cui frequenza dipende proprio da quanto è caldo. Basti pensare ad un pezzo di ferro riscaldato in una fonderia, che cambia gradualmente colore man mano che la sua temperatura aumenta, dal rosso all'arancio al giallo, fino all'azzurro. Nel nostro caso, però, questo sembra portare a un controsenso. Per definizione un buco nero non può emettere radiazione, perché nessuna informazione può lasciare l'orizzonte degli eventi; allora come è possibile che abbia una sua temperatura?

È qui che entra in gioco la vera magia. Un calcolo affascinante, sviluppato da Stephen Hawking in un articolo pubblicato su Nature nel 1974, sfrutta i principi della teoria quantistica dei campi per spiegare come un buco nero riesca ad emettere.

Secondo questa teoria, le particelle non sono altro che vibrazioni di entità più generali, chiamate campi, definite in ogni punto dello spazio e del tempo.  Un campo è generalmente nel suo stato di più bassa energia, o stato di vuoto, dove non ci sono particelle. Ad un certo punto un qualsiasi fattore esterno può "eccitare" il campo, cioè aumentare la sua energia, e questa eccitazione corrisponde alla creazione di una particella. Se ora introduciamo gli effetti della gravità, che distorce spazio e tempo, le cose si fanno più interessanti: a seconda del punto in cui siamo, un campo nel suo stato di vuoto (cioè nessuna particella) può apparire in uno stato eccitato (cioè produzione di particelle) senza che influiscano agenti esterni.

Queste "fluttuazioni quantistiche" intorno al vuoto si manifestano con la produzione di coppie particella-antiparticella; esse vivono per tempi brevissimi, "rubando" l'energia al vuoto, per poi ricongiungersi e sparire. Quando però questo fenomeno avviene appena sopra all'orizzonte degli eventi, l'immensa forza di gravità separerà le due particelle prima che possano riunirsi, attirando la più vicina al buco nero oltre l'orizzonte, mentre l'altra, rimasta isolata, avrà una possibilità di fuggire. Se ciò accade, allora l'energia presa al vuoto non potrà essere restituita e ciò violerebbe una delle leggi di conservazione fondamentali della fisica. Per impedirlo, la particella caduta nel buco nero acquisirà energia negativa, diminuendo la massa del buco nero stesso di una frazione piccolissima; così, a un osservatore esterno sembrerebbe che esso abbia appena emesso una particella.

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Figura 2: Jeff Steinhauer. Credits: Nitzan Zohar, Technion Spokesperson's Office.

Hawking trovò, attraverso un'elegante derivazione, che questo fenomeno conduce a un flusso continuo di particelle, emesse dal buco nero a una temperatura caratteristica, chiamata appunto temperatura di Hawking. Questo flusso "radia" nello spazio circostante l'energia del buco nero, diminuendone a poco a poco la massa e le sue dimensioni; più diventa piccolo, più la sua temperatura aumenta rendendo il processo sempre più intenso fino alla completa evaporazione del buco nero, che avviene attraverso una violenta emissione di fotoni molto energetici.

I tempi necessari alla scomparsa totale di un buco nero sono estremamente lunghi, normalmente molto di più dell'età dell'Universo. Si calcola che un buco nero di massa pari a quella del Sole abbia una temperatura di circa 0.00000006 gradi sopra lo zero assoluto e impieghi ben 1067(1 seguito da 67 zeri) anni per poter evaporare, decisamente fuori dalla nostra portata!

Inoltre non scordiamoci che un buco nero non vive nel vuoto, ma immerso in un universo in espansione, la cui temperatura media, stimata attraverso i fotoni del fondo cosmico di microonde, vale circa 2.7 Kelvin. In generale quindi, il flusso di energia radiata viene compensato dal flusso di materia (o radiazione) che entra dall'esterno; affinché l'emissione possa manifestare un contributo significativo è necessario aspettare che l'Universo si raffreddi al di sotto della temperatura del buco nero, così che l'energia persa per effetto Hawking sia maggiore di quella assorbita.

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Figura 3: schema della radiazione Hawking artificiale (Credits: Nature)