Cervello e protesi artificiali, il pensiero è movimento

Quattro Università statunitensi ottengono un finanziamento per sviluppare congiuntamente un metodo per controllare bracci robotici con la mente. Il metodo è meno invasivo rispetto ad altri e i ricercatori sembrano ottimisti sulla riuscita del progetto, anche se la strada da fare è molto lunga.

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a cura di Manolo De Agostini

Quattro università statunitensi hanno ottenuto 1,2 milioni di dollari per sviluppatore protesi che riescano a fornire percezioni sensoriali ai pazienti e che possano essere controllate con il pensiero. La Rice University, l'Università del Michigan, la Drexel University e l'University of Maryland lavoreranno congiuntamente su questo progetto della durata di quattro anni grazie ai fondi della National Science Foundation (NSF), un'agenzia governativa degli Stati Uniti.

I ricercatori della Rice realizzeranno un braccio artificiale controllabile attraverso una calotta di elettrodi in grado di leggere l'attività elettrica sul cuoio capelluto usando l'elettroencefalografia (EEG). Le informazioni EEG saranno combinate in tempo reale con altri dati, come i livelli di ossigeno del sangue nel lobo frontale del cervello, usando una tecnologia "a raggi quasi infrarossi" sviluppata dalla Drexel University.

La protesi sarà dotata di sensori che serviranno a raccogliere dati tattili dalla punta delle dita e informazioni dalla mano artificiale, in modo che il paziente possa dosare la forza per afferrare gli oggetti. I dati ottenuti saranno poi rispediti all'utente attraverso "touch pad" che agiranno sulla pelle in corrispondenza dell'attacco della protesi al resto del corpo facendola vibrare, allungare e contrarsi.

Le soluzioni odierne usano le contrazioni muscolari del petto o del braccio per controllare la protesi. Questo approccio è vista come una valida alternativa. "Sul lungo periodo speriamo che le protesi abbiano le stesse capacità degli arti naturali", ha dichiarato Marcia O'Malley della Rice Università.

Il gruppo ha già dimostrato in passato una sorta di "pinza" per afferrare oggetti. Alcune persone vittime di amputazioni sono riuscite a percepire e manipolare correttamente degli oggetti basandosi su feedback sensoriali.  I ricercatori dell'Università del Maryland sono invece riusciti a creare una tecnologia che, attraverso i segnali EEG, ha permesso ai soggetti di un primo test di spostare il cursore sullo schermo del mouse semplicemente pensando di farlo.

"Ciò che rimane da fare è di portare tutto questo - la decodifica neurale non invasiva, il controllo cerebrale diretto e i feedback sensoriale e tattile - in un unico dispositivo", ha aggiunto Marcia O'Malley.

"Idealmente il nostro feedback tattile o aptico renderà più facile per i pazienti avere protesi per gli arti superiori che risponderanno esattamente come vogliono", ha dichiarato Patricia Shewokis, ricercatrice della Drexel University.

La nuova tecnologia è un grande passo avanti perché permette ai pazienti vittime di amputazioni di "sentire" ciò che toccano. Alcune soluzioni attuali usano sistemi di ritorno di forza che emettono vibrazioni per fornire informazioni limitate sugli oggetti afferrati dalla protesi. Per questo i pazienti si basano ancora molto sulla percezione visiva per capire se hanno afferrato un oggetto in modo corretto o con poca forza.

Il progetto in questione non è certamente l'unico di questo genere. L'anno scorso vi abbiamo parlato del lavoro dei laboratori di fisica applicata Jonhs Hopkins, dell'Università di Pittsburgh (Robot controllati dalla mente, al via i test sugli umani). Questo studio ha ottenuto un finanziamento di 34,5 milioni di dollari dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) per creare sensori neurali impiantabili nel cervello. L'obiettivo dell'ente statunitense è sfruttare questo lavoro per creare protesi migliori per i militari vittime d'incidenti nelle zone di guerra.

Qualcuno di voi forse starà pensando che questi studi potrebbero essere la base per i "super soldati". Non ci sentiamo di escluderlo, la fantascienza spesso anticipa cosa avverrà in futuro, ma al momento la ricerca sembra ancora all'inizio ed è difficile prevedere se prenderà quella direzione. Per ora ci piace pensare che tra qualche decennio le vittime di amputazioni potranno vivere meglio di quanto le persone nelle stesse condizioni non siano in grado di fare oggi.