Concentrazione TV-stampa, decide Berlusconi

Da marzo chi esercita attività televisiva con più di una rete sarà libero di acquistare un quotidiano, a meno che il Presidente del Consiglio non intervenga. Tutto nasce con il decreto Milleproroghe.

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a cura di Dario D'Elia

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi deciderà in prima persona sul destino dei media italiani cartacei e TV. Solo lui, infatti, tramite decreto potrebbe rimandare di qualche tempo la possibilità per chi esercita attività televisiva (con più di una rete) di sbarcare sul mercato dei quotidiani. Come ha sottolineato La Stampa ieri, con un colpo di penna è stato eliminato ogni divieto.

In pratica nel decreto Milleproroghe (Nel 2012 Mediaset potrebbe comprare il Corriere) era presente una proroga del divieto previsto dalla Legge Gasparri sulle concentrazioni TV-stampa, ma quando in Senato si è parlato di emendare la scadenza al 2016 ecco il colpo di scena. Il senatore PdL Giuseppe Esposito l'ha spostata al 31 dicembre 2012 e introdotto due nuovi criteri.

La parola al Parlamento

"Il primo dice che nessun canale televisivo trasmesso su qualunque piattaforma possa acquisire giornali stampati se ha ricavi superiori all'8% del cosiddetto sistema integrato delle comunicazione (Sic) oppure al 40% del settore delle comunicazioni elettroniche", scrive il quotidiano La Stampa. "L'opposizione insorge; la tesi è che quei limiti siano fatti apposta per impedire l'acquisto di quotidiani a Sky (il primo), a Telecom (il secondo) e non invece a Mediaset, che con quell'oppure e il 32% del mercato delle comunicazioni elettroniche, potrà scalare, se vorrà, persino il Corriere".

Il Quirinale, come sappiamo, ha bocciato il decreto Milleproroghe poiché "eterogeneo" e queste correzioni sugli assetti dei media rientravano proprio fra i commi più critici e delicati. A questo punto il Governo è corso ai ripari. Il maxiemendamento, su cui è stata posta la fiducia ieri alla Camera, ha eliminato ogni paletto e prorogato definitivamente il divieto di concentrazione fino a marzo 2011.

Oggi si attende il parere del Senato, ma secondo gli osservatori politici più accreditati non dovrebbero esserci soprese.