Dal governo via libera alla sorveglianza di massa?

Il Senato sta per dare il via libera definitivo a una norma che potrebbe dare nuovo senso al concetto di sorveglianza di massa. I provider infatti dovranno conservare i dati internet e telefonici per 6 anni, mentre l'AGCOM potrà intervenire in via cautelare sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini.

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a cura di Alessandro Crea

In Italia, all'insaputa di tutti e nell'indifferenza dei media, potrebbe presto essere approvata una norma che darebbe un nuovo senso al concetto di sorveglianza di massa. A lanciare l'allarme dalle pagine del Fatto Quotidiano è l'avvocato Fulvio Sarzana, noto esperto del diritto nelle nuove tecnologie.

Ma cosa sta accadendo esattamente? Entro questo fine settimana il Senato potrebbe approvare in via definitiva una norma che introdurrebbe due disposizioni potenzialmente pericolose per quanto riguarda i diritti dei navigatori italiani. Tra l'altro il disegno di Legge che ha tra i firmatari anche il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, rientra nel novero di quelle leggi approvate in tempi brevissimi e praticamente senza dibattito, eliminando così qualsiasi possibilità di emendamento del testo. La motivazione è che si tratta di disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (Legge europea 2017), da adottare dunque in tempi brevissimi a causa delle scadenze di legge.

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Come detto le disposizioni più discusse sono due: l'estensione a 6 anni dell'obbligo per i provider di conservare i dati internet e telefonici degli utenti e l'assegnazione all'AGCOM (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) del potere di intervenire in via cautelare sulle comunicazioni elettroniche dei cittadini italiani, impedendone eventualmente l'accesso a determinati contenuti web. Secondo l'avv. Sarzana le nostre norme contrasterebbero con le disposizioni europee e in particolare l'estensione del tempo di conservazione dei dati era già stato criticato dal Garante della privacy italiano, Antonello Soro. Proprio per questo sarebbe stato utile quel dibattito che invece in questo modo è venuto a mancare.

L'avv. Sarzana analizza lucidamente le implicazioni di queste due disposizioni. Nel primo caso infatti, con il pretesto di avere maggiori strumenti per la repressione delle attività terroristiche, i provider dovranno conservare banche dati con tutto ciò che abbiamo detto o fatto attraverso il telefono, le chat o Internet. Dati che potranno essere richiesti solo in caso di indagini, ma che nel frattempo resteranno lì, potenzialmente esposti ad attacchi hacker che consegnerebbero le nostre vite digitali al primo malintenzionato di passaggio.

Quando parliamo di provider inoltre non bisogna pensare solo a colossi come TIM, Vodafone o Wind. Nel nostro Paese infatti i provider sono 5mila, spesso dotati di mezzi minimi, e a tutti loro sarà appunto affidata la sicurezza dei nostri dati.

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L'avv. Sarzana inoltre sottolinea che la raccolta riguarderà tutti i cittadini, senza distinzioni e non sarà quindi legata solo a eventuali indagini. Sarà preventiva in un certo senso. Inoltre al momento della richiesta da parte delle autorità giudiziarie, il provider non potrà sindacare, né la polizia potrà fornire spiegazioni, per non compromettere le indagini. Gli unici esposti dunque saranno i cittadini stessi.

La seconda norma, rifacendosi a una legge di 11 anni fa, sottrarebbe di fatto ai giudici il compito di intervenire in via cautelare  sui contenuti del Web, affidando l'onere a un'autorità amministrativa come l'AGCOM. Quest'ultima potrà dunque chiedere ai provider di eliminare delle informazioni dal Web e di evitarne la riproposizione.

Per fare questo su dati che, per la maggior parte, si trovano all'estero, ai provider però non resterebbe che utilizzare una tecnica di intercettazione di massa conosciuta come Deep Packet Inspection. "L'unico modo, insomma, di fare ciò che il governo sta per fare approvare, è di ordinare ai provider italiani di 'seguire' i cittadini su internet per vedere dove vanno, al fine poi di realizzare questo 'impedimento' alla riproposizione, attraverso un meccanismo di analisi e raccolta di tutte le comunicazioni elettroniche dei cittadini che intendano recarsi su siti 'dubbi', spiega ancora l'avv. Sarzana nel suo articolo.

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