D'Alia s'indigna e scrive la sua protesta

Il senatore D'Alia, autore del contestato emendamento "anti-facebook" riceve con sdegno le critiche provenienti da ogni parte della rete, e risponde con una lettera a Repubblica.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Il senatore D'Alia è indignato, e ha pensato bene di rispondere al popolo della rete, con una lettera spedita al quotidiano Repubblica. Dopo l'approvazione dell'emendamento in Senato di giovedì scorso, le reazioni in rete si sono scatenate, tanto che persino i rappresentanti di Facebook e Google sono intervenuti.

Per D'Alia l'emendamento è "uno strumento operativo non generalizzato, che vuole colpire le singole condotte illecite e non certo cancellare dalla rete Facebook o YouTube", e ricorda che "solo su segnalazione dell'autorità giudiziaria, il ministro dell'Interno può intervenire". L'intervento, però, può anche essere la chiusura di un sito o il blocco, tramite l'intervento degli ISP.

Proprio gli aspetti dei quali si lamentano un po' tutti: il potere affidato al ministro dell'interno,  che inevitabilmente agisce anche in funzioni di interessi politici ed ideologie, e l'apertura alla possibilità di filtrare totalmente un sito, con un intervento dell'ISP. Un punto critico che, a quanto pare, non ammette discussioni.

Il senatore specifica che il filtraggio ha delle regole, stabilite a loro volta a livello ministeriale, che eventualmente stabiliscono anche le sanzioni, da 50 a 250 mila euro.

" […] credo (sic) le letture di comodo date in questi giorni al mio emendamento servano solo a mettere la testa sotto la sabbia e a far finta di non vedere i misfatti che vengono perpetrati nelle zone franche di Internet. […] Come se, in nome di una libertà di espressione tutta da dimostrare, si potessero legittimare gli insulti, le nefandezze di cui è già piena la nostra società reale, lo stesso diritto di parola di chi incita alla mafia, al terrorismo, alla violenza, alla pedofilia, agli stupri di gruppo". Specifica, riferendosi alla sua ormai famosa intervista all'Espresso.

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Quanti politici, nel mondo, condividono lo stesso sogno nel cassetto?

Ne ha anche per YouTube, che stimolerebbe i ragazzi a compiere azioni assurde, fino al reato, pur di guadagnarsi un po' di fama, un problema che esiste e va affrontato seriamente, ma che non giustifica ipotesi censorie. Certo che la libertà d'espressione non può arrivare a giustificare queste "zone franche", ma questo non significa che sia legittimo minacciare un oscuramento totale in nome della protezione.  

E, vorremmo aggiungere, speravamo che il concetto di "libertà d'espressione" fosse già dimostrato e indiscutibile, ma a quanto pare non è così.

"Infine, ho notato che su Facebook sono comparsi gruppi contro di me" conclude D'Alia, dicendo che "tutto ciò rientra nella libertà di opinione, e che quindi quei gruppi possano rimanere lì dove sono".  Ah però, grazie della generosità. Un'affermazione piena di spirito democratico, ma anche molto astuta.

"Diverso discorso per chi insulta le vittime di Mafia, si mette a disposizione di Cutolo, inneggia alla Jihad o alle Brigate rosse, spiega come fabbricare un esplosivo, incita a picchiare i romeni (l'ultima novità di Facebook) o considera filantropi gli stupratori di Guidonia o i pedofili. Preferisco farmi insultare e affrontare il problema, che fare finta di nulla e pensare che un giorno mio figlio possa andare sulla rete e sentirsi dire che Riina non sia stato poi cosi cattivo. Se ci sono altre proposte per contrastare questo fenomeno, ben vengano". E poi conclude ricordando che l'emendamento ha avuto un "largo appoggio bipartisan".

Il problema è che non servono nuove proposte, e non si vede l'utilità di questa misura. Già oggi se l'autorità giudiziaria individua un sito, un gruppo o un utente che viola la legge, ha tutti gli strumenti necessari per perseguirlo. Da Facebook ai piccoli forum tematici, nessuno si sognerebbe mai di andare contro la decisione di un magistrato solo per difendere un utente o un gruppo. Anzi, in passato Facebook si è anche mosso in maniera autonoma, senza bisogno di spinte istituzionali.

L'unica novità è, appunto, la possibilità del controllo politico e della censura. Certo, siamo sereni e convinti che nessun politico ne farà (ab)uso. Ma se non ci fosse sarebbe meglio.

Non siamo certo stupiti dall'appoggio bipartisan in parlamento, visto che la nostra classe politica è composta in gran parte da persone in età avanzata, che vedono nella rete un fenomeno difficile da comprendere, dove chiunque può dire la sua, e, orrore, riuscire ad ottenere una visibilità fin troppo alta.

Forse, infine, sarebbe tempo di cominciare a considerare gli italiani un popolo di adulti, capaci di autoregolamentarsi, e di riconoscere il bene dal male. Certo che i ragazzi e i minorenni hanno bisogno di essere protetti, ma ci sarebbe piaciuto di più sentir parlare di educazione civica, per rendere gli adolescenti capaci di riconoscere i pericoli, e di reagire in maniera adeguata. Invece, su questo piano, tutto tace.