Diritti in rete, parla Gentiloni

L'ex ministro parla di libertà in rete e diritto d'autore, confermando il predominio della politica sull'etica.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Vittorio Zambardino, giornalista e blogger di Repubblica, ha intervistato Paolo Gentiloni, ex ministro delle Comunicazione e responsabile dell'area comunicazione del Partito Democratico. Si è parlato di diversi temi, e si è creato un quadro interessante sul pensiero di questo partito quando si parla di rete.

Prima di tutto si è parlato della proposta Vita-Vimercati. Gentiloni rifiuta le critiche di chi sostiene che si tratti di un "manifesto", introdotto dall'opposizione tanto  per fare bella figura. Bisogna sostenere la banda larga, la neutralità della rete, il software libero e la trasparenza nella PA. Se di tutto questo non se ne farà nulla, aggiunge, è perché il parlamento si occupa quasi esclusivamente dei decreti governativi, e non c'è spazio per parlare d'altro.

Gentiloni non ha mezzi termini: bisogna impedire che si sviluppi una rete a due velocità, che favorisce chi ha capitali e penalizza tutti gli altri. Ricorda che è sbagliato cavalcare l'allarme sociale per far nascere misure contro la libertà in rete, un approccio che non possiamo che condividere.

Parla di Francia, con la legge Sarkozy, del tentativo inglese di schedare gli utenti dei Social Network, ma anche delle proposte di alcuni parlamentari italiani, di cui abbiamo parlato spesso. Trova un tema comune a tutti: pericolo per la libertà d'espressione.

Parlando di protezione dei diritti di autore, Gentiloni non è molto specifico, ma accenna a diversi esempi moderni di diffusione, come iTunes o la BBC, e in generale richiama la stessa industria a prendere iniziative, invece di andare a piangere da Stato e polizia. E coglie l'occasione per bacchettare il comitato anti-pirateria, che si dedica solo a pensare a disegni di legge "alla francese", mentre sono altre le strade da seguire.

È poco fiducioso, però, sull'emendamento Cassinelli. Non risponde, infatti, quando gli viene chiesto se lo voteranno, limitandosi a far capire che ci saranno troppe "fiducie" sui decreti, che serviranno a dare spazio alla "foga repressiva" imperante negli ultimi tempi.

Traduciamo: l'emendamento D'Alia non ci piace, ma siccome dovremmo dare la fiducia al governo per votare quello di Cassinelli, ci teniamo la schifezza. L'Italian Style, almeno, non si smentisce.