Editoriale: suicida per Ask.fm, un fallimento per la società

Abbiamo deciso di esprimere la nostra opinione, come redazione, sulla caso della ragazza del padovano che ieri si è suicidata. Il social network Ask.fm forse ha delle responsabilità o forse le abbiamo un po' tutti come società.

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a cura di Pino Bruno

Difficile rompere il silenzio provocato dalla morte di una ragazza di 14 anni. C'è imbarazzo, senso di inadeguatezza di fronte a un caso di suicidio. Eppure stamani in redazione abbiamo deciso di occuparci di "Amnesia", questo il suo nickname sulla piattaforma social Ask.fm. Vedete, ecco il primo punto. Ne conosciamo l'identità virtuale e non quella reale. Pare che in molti su quel social network nato in Lettonia (a proposito, il paese fa parte dell'Unione Europea) ne abbiano fatto bersaglio. Per soddisfare chissà quale prurito. Forse lo stesso che sente l'inetto di fronte a una manifestata debolezza. Qualcuno direbbe il vile. Noi diciamo il vile. Neanche degno di esser bestia.

Su Ask.fm chiunque può farti domande. E poi andarci pesante perché tanto il vanto degli stessi sviluppatori è l'inesistenza di un sistema di controllo e moderazione. Non è anarchia, non è giungla. La prima è regolata da ampia letteratura. La seconda risponde a leggi ancora più severe: quelle della Natura.

Difficile quindi definire uno spazio dove anonimato e mancanza di regole stimolano lo sfogo dei peggiori istinti. Già, ritorna anche la questione dell'anonimato. Nei regimi dittatoriali è uno dei pochi strumenti di difesa per esprimere opinioni fuori dal coro senza finire in galera o ammazzati. Nei paesi democratici per taluni è lo strumento per varcare i confini della civiltà e del lecito. Anonimato sempre bello e giusto, dunque? Se ne può discutere senza per questo invocare censure? O dare spazio alle strumentalizzazioni di quei politici di ogni schieramento che vogliono mettere il bavaglio alla rete? Il problema non sono le leggi. Ce ne sono fin troppe. Sarebbe semmai il caso di fare rispettare quelle già esistenti. 

È amaro constatare che appena si muove un passo sul terreno dell'identità online, anche la fiera più sanguinaria tira in ballo la libertà di espressione. 

Ecco le opinioni della redazione.

Pino Bruno

Fossi un dissidente iraniano (o cubano, cinese, eccetera) farei certamente uso di una piattaforma come ask.fm. Dove ci sono regimi autoritari, l'anonimato può fare la differenza tra la vita e la morte, tra la libertà e la prigione. Se l'anonimato serve per dileggiare, fare stalking, incitare all'odio e alla violenza o, come nel caso di "Amnesia", spingere addirittura al suicidio, allora no, non ci sto.

Ho sempre difeso la rete e le sue libertà da ogni attacco, ma chi vìola le norme non può farla franca solo perché si nasconde dietro un nickname. Ai sepolcri imbiancati che invocano nuove leggi e bavagli rispondo che non servono. I genitori (e gli insegnanti, a scuola) dovrebbero essere più attenti, intercettare il disagio dei ragazzi e denunciare gli aguzzini digitali, senza se e senza ma.

Roberto Buonanno

Ask.fm è la patria dei giovanissimi proprio perché non c'è controllo. Il giorno in cui la piattaforma incaricasse dei moderatori, rimarrebbe deserta. Manca il controllo e si scatena il lato peggiore dell'essere umano. Un esercito di mister Hyde che inquina quello che poteva essere un meraviglioso esperimento sociale autogestito. Ho parlato con molti ragazzi che sembrano rassegnati. "La colpa non è di Ask, prova a sentire cosa si dice a scuola e rabbrividirai".

Allora forse la colpa è dei genitori?

Roberto Caccia

Il mio parere è che per una questione così complessa non si possa generalizzare più di tanto, o ancora peggio cercare di trovare un colpevole per risolvere la situazione. In un caso delicato come questo non penso che si possa dare contro esclusivamente al social network, in quanto lo ritengo soltanto uno strumento. Se la ragazza avesse avuto minacce di morte su YouTube sarebbe cambiato qualcosa? E se invece le avesse ricevute a voce dai compagni di banco, senza strumenti tecnologici, sarebbe ancora viva?

La mancanza di controllo da parte dei social network è sicuramente un punto su cui si può discutere e un tema importante, soprattutto per quanto riguarda l'uso di questi siti web da parte dei più giovani. Tuttavia non penso che impedire l'accesso o l'iscrizione ai minori sia una soluzione valida, e temo che potrebbe servire soltanto a facilitare la migrazione verso altre soluzioni. Se Ask.fm domani dovesse impedire l'iscrizione ai più giovani sono convinto che in una settimana spunterebbero decine di siti simili senza limitazioni.

In tutto questo il ruolo della famiglia diventa sempre più importante, soprattutto in quest'epoca di progresso tecnologico. I genitori di oggi hanno un compito molto più difficile rispetto al passato, visto che oltre a dover sorvegliare situazioni ben più complicate rispetto a decine di anni fa non devono trascurare una corretta educazione dei propri pargoli all'uso degli strumenti tecnologici.

Manolo De Agostini

Non è il primo caso che coinvolge Ask.fm, né il primo che vede di scena giovani senza cervello che si nascondono dietro un nickname. Purtroppo ce ne saranno altri. Non credo che si possa applicare la tagliola su Ask.fm o altri social network, ma fare baccano sul perché si vigili di più non è solo corretto, ma sacrosanto.

È anche tempo di discutere di anonimato online: agli albori di Internet era la regola, oggi sempre più l'eccezione, ma se 10 anni fa i toni erano diversi, oggi si sta raggiungendo livelli inaccettabili, per cui vale la pena di fermarsi a riflettere.

Riflettere anche sulle famiglie di oggi e sull'educazione impartita ai ragazzi, non solo dai genitori, ma anche a scuola e nella società. Qualcuno vuole spiegare ai giovani che Internet non è un film di Tarantino? Dietro ai bit digitali ci sono persone con le proprie sensibilità, è bene non dimenticarlo mai.

Dario d'Elia

A mio parere non esistono mai risposte semplici a problemi complessi. Non sarà una legge, una sola correzione alle norme oppure un solo dettaglio a far cambiare la sostanza delle cose. Oggi la priorità dovrebbe essere quella di riconoscere a Internet ogni pregio e difetto. Definire cosa sia la Rete.

Siamo di fronte a una dimensione parallela al mondo fisico che è in grado di potenziare il sapere umano ma anche esporre gli individui a pericoli. E non si tratta solo di pericoli per i più giovani, ma anche per gli adulti. Se c'è un dato che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi europei è il digital divide, ma ancora di più il "divide" nella cultura digitale. Le famiglie spesso non sono all'altezza, la scuola pure.

C'è un'orda di utenti online priva di competenze. Non sanno dominare il linguaggio, non conoscono il media, spesso non sanno neanche meditare sulle opinioni altrui, non sanno pensare. Internet amplifica tutto: il bene e il male. Come se ne esce? Con la condivisione di esperienze e la formazione. Inutile spiegare come funzionano mouse e tastiera. Può farlo chiunque. Dobbiamo lavorare sull'uomo digitale.

Andrea Ferrario

Non è l'anonimato, e nemmeno il social network il problema, ma l'ignoranza di chi usa il web. Perché sul web puoi fare quello che vuoi. Perché sul web puoi dire quello che vuoi. Perché sul web rimarrai sempre impunito. Scaricare illegalmente musica, film, giochi, non è rubare. Diffamare, minacciare, calunniare, non hanno significato sul Internet. La parola "educazione" non esiste sul web.

Si parla tanto di libertà della rete, ma perché si continua a confondere la parola "libertà" con "posso fare e dire tutto quello che voglio senza conseguenze"? Quando ero piccolo, quando non c'era Internet, e quindi non c'erano i social network, le chat o l'instant messaging, l'unico mezzo di comunicazione era quello reale. E prima di dire qualcosa in faccia a una persona si pensava, e valutava bene la reazione dell'azione o della parola che si stava per proferire. Niente di diverso da quello che succede oggi, la fuori, nel mondo reale. Perché una parola, o un'azione sbagliata, ha sempre una reazione.

Ma non su Internet, dove sono tutti leoni, dove tutti possono insultare senza rischiare di prendere un bel ceffone in piena faccia. Il problema è l'idea diffusa d'impunità, specialmente tra i più giovani, che con leggerezza fanno e dicono quello che gli pare.

E per la cronaca, per essere veramente anonimi su Internet, bisogna essere molto bravi. Usare un nickname non significa essere anonimi. Ma come ho detto, il problema è l'ignoranza e la mancanza di educazione e senso civico.

Valerio Porcu

Non è una questione di anonimato né di tecnologia. Certo che è più facile torturare un'altra persona nascondendosi dietro a un nickname, ma la questione è che – in Italia più che altrove – sono in troppi a provarci gusto nell'abusare, nel molestare e nel torturare.

Non sappiamo rispettarci tra noi, succede da secoli. E se qualcuno soffre diamo la colpa a lui o lei, perché non siamo stati capaci di lavare via la meschinità e la codardia che ci strangolano da sempre, e che ci spingono a scambiare la vittima con il carnefice, e puntare il dito contro il crimine inesistente di chi non sa riconoscere una battuta.

Elena Re Garbagnati

Facciamo i moderni con smartphone e tablet, passiamo il tempo sui social e diamo i cellulari ai bambini. Quando diventano adolescenti "ormai sono grandi", quindi si dà per scontato che siano capaci anche di gestire i rapporti interpersonali. Il risultato è che li "non gestiscono" via Internet, ossia con un mezzo che loro credono di sapere usare, al modo in cui gli adolescenti credono di saper fare tutto. Non sarebbe un gran problema, se non fosse che viviamo in una società che per senso civico e rispetto del prossimo (inteso come animali, cose e persone, tutto) è all'età della pietra.

Forse qualcuno non ha capito che finché siamo incivili fra le mura domestiche possiamo anche non vergognarci, ma quando lo siamo con il megafono della tecnologia diventiamo armi micidiali.  Visto che non sappiamo educare i figli, facciamo che i minorenni sui social non ci possano andare, così evitiamo che i problemi diventino tragedie. Intanto però un esame di coscienza sarebbe d'obbligo: questo schifo di società ai ragazzi l'abbiamo data noi, non pretendiamo che siano loro - con quello che non gli abbiamo insegnato - a cambiarla.