FIMI: l'industria discografica italiana perde pezzi

Sta per chiudere IMS, una delle ultime aziende italiane che producono CD musicali. Enzo Mazza, presidente della Federazione Industria Musicale Italiana, ricorda come non sia stato fatto nulla negli ultimi anni per il settore: sviluppo e sostegni per il settore sono stati snobbati.

Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

L'industria discografica italiana sta cadendo a pezzi. Negli ultimi anni non si è investito in sviluppo e neanche sostenuto il mercato. Così la pensa Enzo Mazza, presidente della Federazione Industria Musicale Italiana, che orma sembra piuttosto rassegnato. Sopratutto considerando che proprio in queste ore una delle ultime aziende nazionali produttrici di dischi (ieri) e CD (oggi), la IMS di Caronno Pertusella (Varese), sta sbaraccando. Si parla di cassa integrazione a zero ore per 132 dipendenti e nella migliore delle ipotesi di una cessione a un Gruppo straniero.

Il picchetto della IMS

"È un peccato, con gli artisti italiani che coprono oltre il 50 per cento del mercato, finiremo per stampare i CD all'estero", ha confidato Mazza a La Stampa. "Già nel 2005 avevamo segnalato che migliaia di posti di lavoro erano a rischio, soprattutto per la pirateria. La sinistra per anni ha visto la Rete come il regno della condivisione, dimenticando la possibilità di costruire anche un business. La destra si è semplicemente disinteressata, salvo poi tuonare ogni volta che un'azienda chiude, specie se è al Nord. Alla fine, nonostante qualche promessa, un'azione concreta sul piano dello sviluppo culturale è mancata da entrambi gli schieramenti".

Difficile la posizione della FIMI: da una parte costretta a non inimicarsi troppo la politica per non essere abbandonata nella battaglia contro la pirateria, dall'altra priva di una strategia chiara (e organica) per uscire dalla crisi del settore.

High Fidelity al vinile - Clicca per ingrandire

Senza contare che il taglio dell'IVA sui CD ormai è una chimera: i libri al 4% ogni giorno sembrano sempre di più uno schiaffo alla musica, costretta a un ingiustificato 21%. "Ma non ci sono stati nemmeno incentivi fiscali per favorire la nascita di nuove aziende", ha aggiunto Mazza. "Non si fa nulla per il mercato italiano della musica digitale, che pure ha margini di crescita elevati: oggi è il 20% del totale, contro il 50% della Danimarca, ad esempio. Siamo sempre più periferia dell'impero, con il potere tutto in mano alle multinazionali". 

Da aggiungere poi il problema della penetrazione della banda larga e della diffusione del commercio elettronico. Le infrastrutture per altro sarebbero utili anche agli studi e ai professionisti del settore.