Perché non trasformare il cosiddetto inquinamento elettromagnetico in una fonte di energia per l'Internet of things? L'idea è venuta a Drayson Technologies, che ha sviluppato un piccolo sistema hardware capace di trasformare i segnali a radiofrequenza (2G, 3G, Wi-Fi, TV) che ci circondano in fonti "perpetue di energia".
Ovviamente la raccolta oggi non sarebbe sufficiente per alimentare uno smartphone o un portatile, ma adeguata a piccoli gadget, sensori o webcam di sicurezza. Si parla dell'ordine di 100 microwatt. Il sistema "Freevolt" integra un'antenna che scandaglia le frequenze comprese tra 0,5 e 5 GHz, un raddrizzatore (rettificatore) che trasforma l'energia in alternata e un modulo per potenziare, accumulare e fornire elettricità.
L'idea di fondo è che si possano popolare gli ambienti chiusi di oggetti smart capaci di monitorare l'ambiente, rilevare variazioni di temperatura, controllare la sicurezza di alcune aree, etc. Non a caso uno dei primi prodotti realizzati è un sensore per misurare l'inquinamento ambientale, chiamato CleanSpace Tag. Grazie alla app smartphone omonima si può misurare costantemente la propria esposizione al monossido di carbonio. Ma lo sviluppo corre veloce perché si parla anche di Beacon e wearable.
Drayson ha pensato a un modello di business basato sulla licenziabilità di Freevolt e dei brevetti correlati. Inoltre ha reso disponibile il software di sviluppo per ampliare il raggio di possibilità di impiego.