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a cura di Tom's Hardware

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Nel 1992 la DC Comics ha il coraggio di essere ancora più iconoclasta. È l'anno in cui anche i telegiornali parlano di The Death of Superman, ovvero La Morte di Superman. Dan Jurgens, Roger Stern, Louise Simonson, Jerry Ordway e Karl Kesel, sotto l'egida dell'editor Mike Carlin, scrivono una sceneggiatura che abbraccia tutte e quattro le testate dedicate al simbolo supereroico americano per eccellenza, soltanto per distruggerlo e portarlo alla sconfitta definitiva.

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Doomsday è la nemesi prescelta, creata per l'occorrenza, il cui nome appropriato viene come sempre affibbiato dai media giornalistici e televisivi. Un mostro inarrestabile frutto di un esperimento genetico sulla sopravvivenza in ambienti ostili da parte di un folle scienziato kryptoniano senza scrupoli. Semplice e lineare: Doomsday, giunto sulla Terra, inizia radere al suolo tutto ciò che gli si para davanti.

Arriva fino a Metropolis e all'inevitabile scontro finale a suon di botte da orbi con l'Uomo d'Acciaio, nell'ormai famosissimo numero 75 della testata omonima nel quale il supereroe muore per le gravissime ferite ricevute alla pari del mostro stesso. È l'ultimo e significativo sacrificio, l'immolazione di un uomo (qui non importa se alieno o meno), forte simbolo messianico e cristologico per permettere all'Umanità di continuare a esistere. Viene a ribaltarsi così il significato Randiano dell'eroe che Superman aveva assunto negli anni, nonostante non sia mai stato un simbolo dell'individualismo e dell'egoismo razionale divulgato da Ayn Rand.

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Morto il supereroe, rimangono in vita i valori di Verità, Giustizia e del Modo di Vivere Americano, un messaggio che diventa adatto a tutto il pianeta e alla razza umana in generale di qualunque credo e colore. Il lungo percorso della trama, suddivisa sui quattro albi mensili di Superman è un successo epocale di vendite per la casa editrice.