Google assolta dal Tribunale di Milano per Vividown

La Corte d'Appello di Milano ha assolto i dirigenti Google nell'ambito del caso Vividown. All'azienda californiana non si attribuisce il reato di violazione della privacy per un video caricato dagli utenti su Google Video.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Sono stati assolti in appello i tre manager di Google imputati per violazione della privacy nel caso Vividown. Al centro della questione un filmato caricato nel 2006 su Google Video, che mostrava un minorenne disabile subire gli abusi dei compagni. Fece seguito in tempi brevi la denuncia da parte dell'associazione Vividown.

A tenere banco è stata però un'altra questione: ci si chiedeva infatti se i giudici avrebbero stabilito che Google era responsabile per i contenuti caricati dagli utenti. Come qualcuno ricorderà, in primo grado le cose sono andate proprio così, e i dirigenti di Google Italia furono condannati a sei mesi.

Giorgia Abeltino

''Assoluta soddisfazione, ma nessuna sorpresa; onestamente la condanna si basava sul nulla'', ha commentato l'avvocato Giulia Bongiorno. "È una giusta conseguenza'", ha detto, perché "'i controlli ci sono, ma non competono a Google […] non è stato riconosciuto cioè una sorta di maxi controllo, non c'è questo ulteriore obbligo, come per esempio per un direttore di un giornale".

"Siamo molto felici che la decisione di primo grado non sia stata confermata e che la Corte d'Appello abbia riconosciuto l'innocenza dei nostri colleghi. Anche in questo frangente, il nostro pensiero va al ragazzo e alla sua famiglia, che in questi anni hanno dovuto sopportare momenti difficili", ha dichiarato invece Giorgia Abeltino, policy manager di Google Italia.

La sentenza, le cui motivazioni arriveranno più avanti, va quindi a correggere quello che era sostanzialmente un errore commesso in primo grado. "Un'opera di ingegneria giuridica con un errore tecnico per quanto riguarda la privacy", come l'aveva definita l'ex Garante per la Privacy Francesco Pizzetti. A ragion veduta, quindi, la decisione dei giudici in primo grado aveva fatto il giro del mondo.

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Si stabiliva infatti la responsabilità del fornitore del servizio, e di fatto si legittimava l'idea che qualsiasi violazione perpetrata dagli utenti fosse responsabilità anche di Google, o Facebook, Microsoft, Telecom, Infostrada e altri. Un principio che, naturalmente, fa a pugni con la Rete come la conosciamo e come vogliamo che rimanga.

Nessuna risposta finora dall'associazione Vividown, ma crediamo che la storia finisca qui e che non ci sarà un ulteriore passaggio in Cassazione. Fermo restando che lo scandalo sollevato può aver contribuito a sensibilizzare sui problemi dei giovani disabili nelle nostre scuole, e in generale di tutti i nostri studenti.

Perché se in Italia ci sono ragazzi che arrivano a comportarsi come bestie non si può puntare il dito contro un unico responsabile, perché significa che abbiamo problemi di cultura, formazione ed educazione profondi e radicati: problemi che la scuola da sola non può risolvere. Immagini come quelle del video in questione erano e restano inaccettabili, ma dovremmo lavorare affinché le future generazioni vedano certi comportamenti per quello che sono: aberrazioni che ci rendono tutti degli esseri umani peggiori. Prendersela con Google o attaccare la Rete non è certo una buona strategia.