Google: Confalonieri non siamo parassiti ma un'opportunità

Google si dice disponibile a trattare con editori e broadcaster di ogni paese, anche in Italia.

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a cura di Dario D'Elia

Google non si sente affatto un parassita, come sostiene Confalonieri di Mediaset, bensì uno strumento per dare visibilità, traffico e anche ricchezza. Così ha smarcato l'azienda da ogni accusa Carlo D'Asaro Biondo, vice presidente e responsabile South East Europe, Middle East e Africa di Google.

In Italia, come nel resto d'Europa, recentemente è stata avviata dagli editori, telco e broadcaster una sorta di crociata per ristabilire la giustizia universale digitale. I grandi colossi statunitensi sono additati come usurpatori: approfittano delle infrastrutture, dei contenuti editoriali e delle trasmissioni TV senza dare nulla in cambio. In verità c'è un pizzico di presunzione fra i banchi dell'accusa: si illudono del fatto che i rispettivi asset o produzioni, con o senza Google, avrebbero lo stesso valore online. In ogni caso quel che conta è che è stato avviato un dialogo fra le parti.

Come resistete all'abbraccio di Google?

Il primo dettaglio è che sul copyright la visione è la stessa, anche se l'industria vorrebbe un alleato più guardingo. Per Google la tutela passa dal suo sistema di segnalazione, che si tratti di YouTube o il motore di ricerca.

In Francia il mondo dell'informazione è giunto a un accordo (da 60 milioni di euro) per la gestione dei contenuti online, mentre in Germania è stata approvata una legge durissima per gli aggregatori. "In Francia hanno capito bene il valore del traffico che generiamo e hanno deciso di trovare un accordo complessivo. In Germania, appunto, l'approccio è stato diverso. E ci sono accordi che sono stati presi o stiamo prendendo singolarmente", ha spiegato D'Asaro Biondo nell'intervista pubblicata oggi dal Sole 24 Ore.

Insomma, qualcuno vuol fare orecchio da mercante: se Google ti porta circa il 50% del traffico è un amico o un nemico? "Tiriamo su i nostri ricavi pubblicitari euro su euro, in base al traffico che si genera per gli inserzionisti. Allo stesso tempo abbiamo dei meccanismi di redistribuzione per i siti editoriali che ospitano la pubblicità", ha aggiunto senza remore l'alto dirigente.

Carlo D'Asaro Biondo

Tutto è sotto la luce del Sole eppure gli attriti rimangono. I motivi si devono al fatto che Google non vuole riconoscere esborsi per i contenuti ma stabilire forme di collaborazione che favoriscano il business degli stessi editori. Del tipo: nessun balzello, cerchiamo di guadagnarci tutti.

Già, verrebbe da pensare, e come si fa a far sopravvivere tutte quelle aziende che meriterebbero di chiudere e che oggi vedono in questa battaglia un'occasione per restare in vita? Google dimentica che siamo in Italia, non negli Stati Uniti. La nostra versione di competizione, in alcuni settori, è all'acqua di rose (congelata e sottovuoto).

Eh, però Google non paga le tasse in Italia, sussurra qualcuno. "Noi paghiamo tutte le tasse cui siamo sottoposti in Italia. Per produrre i nostri ricavi in Italia affrontiamo costi in altre parti del mondo", ha concluso D'Asaro Biondo. "Come ha detto il nostro presidente Eric Schmidt se le regole attuali della fiscalità non vanno più bene, allora che si rivedano. Ma non si possono accusare operatori globali come noi di non rispettare le regole vigenti".

Già, adesso ci manca solo che uno straniero ci venga a fare le scarpe sulle nostre regole. Che noi per primi con orgoglio nazionale guardiamo come accessorie, stupide e inutili. Perché il problema non sono i contenuti ma le regole stesse. Noi siamo artisti. Cosa vuole capirne Google. Che paghi... Almeno qualcuno.