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a cura di Alessandro Crea

Google ha fatto recapitare alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea il ricorso contro la multa da 4,34 miliardi di euro comminatagli dalla Commissione europea lo scorso 18 luglio. Il colosso di Mountain View dunque, dopo aver respinto al mittente le accuse, ha deciso di passare alle vie legali, non accettando la sentenza che la accusa di aver utilizzato il suo sistema operativo Android per rafforzare la posizione dominante del proprio motore di ricerca.

Una reazione prevedibile e comprensibile da un punto di vista prettamente economico, visto l'importo della sanzione, la più elevata mai irrogata dall'Unione europea a un'azienda. La multa infatti è praticamente doppia rispetto a quella già salatissima da 2,4 miliardi di euro comminata sempre a Google lo scorso anno per questioni simili.

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In quel caso infatti la Commissione aveva accusato Google di aver utilizzato sempre la sua posizione dominante nell'ambito della ricerca online, per avvantaggiare Google Shopping, il suo servizio di vendita prodotti che compara i listini.

La querelle con la UE viene comunque da lontano. Già nel 2016 infatti la Commissione aveva accusato Google di violare le norme antitrust comunitarie imponendo ai fabbricanti di smartphone, anche attraverso incentivi economici, di pre-installare Google Search e il browser Google Chrome e di impostare Google Search come motore di ricerca predefinito. Insomma, una condizione per poter utilizzare in licenza altre applicazioni di cui Google detiene i diritti.

Un comportamento che all'epoca la Commissione non aveva esitato a definire scorretto, temendo che portasse "all'ulteriore consolidamento della posizione dominante di Google Search nei servizi di ricerca generica su Internet", pregiudicando "la capacità dei browser mobili concorrenti di competere con Google Chrome" e ostacolando lo sviluppo di sistemi operativi basati sul codice sorgente aperto Android, vanificando le opportunità che ne deriverebbero per lo sviluppo di nuove applicazioni e servizi".

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Dal canto suo Google tramite il proprio CEO Sundar Pichai aveva già risposto alle accuse lo stesso 18 luglio, paventando la possibilità che Android possa non essere più gratuito in futuro "se i produttori di smartphone e gli operatori di rete mobile non potranno più includere le nostre applicazioni sulla loro vasta gamma di dispositivi". Insomma la battaglia si preannuncia aspra e non siamo che all'inizio.