Google Screenwise ti paga se ti lasci spiare online

Google Screenwise è un nuovo progetto pilota che sperimenta il pagamento in dollari in cambio della rinuncia alla privacy online. I primi test coinvolgeranno utenti statunitensi volontari.

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a cura di Dario D'Elia

Google Screenwise è un incubo orwelliano: che dire di un servizio che in cambio della propria privacy online regala qualche dollaro al mese? Va bene che siamo ancora in una fase sperimentale e che l'adesione al programma è completamente volontaria, ma in ogni caso gli elementi di dibattito non mancano. 

Martedì scorso Google ha recapitato a un ristretto numero di utenti una lettera di presentazione del nuovo programma Screenwise, sottolineando che si trattava di uno strumento per tracciare il traffico personale generato online. Il tutto ricompensato con 5 dollari di buono acquisto Amazon per l'iscrizione e altri 5 dollari ogni tre mesi di adesione. Questa versione richiedeva esclusivamente un account Google attivo e il browser Chrome per l'istallazione dello specifico plugin. Pare che in poche ore abbiano raccolto un numero sufficiente di adesioni per iniziare il test.

Il Data Collector

La cosa più preoccupante però è che esiste un altro programma Screenwise ancora più evoluto per i membri di Knowledge Networks, una società che realizza sondaggi e ricerche di mercato affidandosi a gruppi selezionati di persone. In questo caso a chi aderisce verrà consegnato un dispositivo da installare in casa che per al massimo un anno monitorerà ogni operazione online dell'utente. Il compenso sarà di 100 dollari per l'iscrizione e 20 dollari al mese per il disturbo.

Google, in base a quando si legge nella lettera, condividerà i dati aggregati raccolti con terze parti come "istituzioni accademiche, inserzionisti, editori e reti TV". Le note sottolineano che ogni informazione raccolta sarà "personalmente identificabile" a eccezione degli indirizzi https e la navigazione in modalità "incognito". In pratica sarà quasi tutto tracciato, e alcuni elementi sensibili resi anonimi e non correlabili alla persona.

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Il potenziale di questo strumento marketing è devastante: potrebbe far sbavare gli inserzionisti e i produttori di contenuti, e allo stesso tempo infuocare gli animi delle associazioni per i diritti digitali. Alcuni potrebbero pensare che la libertà di scelta del consumatore/utente dovrebbe essere l'unica discriminante.

Il problema è che la mercificazione di un diritto rischia di produrre una sorta di borsino dello stesso. La privacy in pratica potrebbe diventare merce soggetta a prezzi da libero mercato, quando invece la Legge (e il buon senso) dice che esiste una soglia minima sotto la quale c'è solo la giungla.

Google in questo caso sta proprio giocando con il fuoco, e gli uomini rischiano di rimanerne così ipnotizzati da ritornare in quelle caverne dove un tempo giocavano con le ombre.