I grandi dell'hi-tech si preoccupano delle dipendenze digitali

Un reportage del New York Times racconta come nelle aziende della Silicon Valley si comincino a prendere sul serio le dipendenze da tecnologia. Il problema riguarda sia i lavoratori sia i consumatori.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

I dirigenti della Silicon Valley sono preoccupati per il diffondersi di dipendenze da tecnologia e Web. Lo racconta Matt Richtel sul New York Times, che ha raccolto le voci di diverse persone con incarichi di alto livello nelle aziende di cui parliamo ogni giorno.

"La luna di miele è finita e ora siamo al punto in cui diciamo che cosa ho fatto? Non significa che abbiamo fatto del male, non c'è nulla da criticare. Si tratta solo di voltare pagina", ha affermato invece Soren Gordhamer, che organizza conferenze a tema tecnologiche, facendo eco alle preoccupazioni espresse da Stuart Crabb (Facebook).

Il mio tessssssssoro 

Senza prese di posizioni assolute, c'è la percezione di essere andati troppo oltre, di aver spinto i consumatori a usare troppo la tecnologia, sacrificando così altre cose altrettanto o più importanti. E i sintomi più evidenti del problema sono dentro le aziende stesse, perché i lavoratori sono le prime vittime.

A sostenere tale percezione ci sono prove scientifiche sempre più convincenti secondo le quali giochi, attività online e gadget avrebbero la capacità di creare dipendenza esattamente come le droghe. Tale scienza "è ancora in uno stato embrionale", spiega il reporter, ma sembra ormai certo che nella manualistica usata da psichiatri e psicologi comparirà l'anno prossimo il "Disturbo da uso di Internet". Per quanto tale documentazione possa essere discutibile, è un segnale che non si può ignorare.

Le aziende tecnologiche sono responsabili della diffusione di nuove dipendenze? Non più di quanto lo siano i fast-food nella diffusione dell'obesità, secondo alcuni; tuttavia si è discusso molto a lungo sull'argomento, senza giungere a una conclusione definitiva - impossibile quando si uniscono la ricerca scientifica e gli interessi commerciali che la finanziano.

Secondo Scott Kriens di Juniper Netwoks la situazione "riflette i primitivi bisogni umani di connessione e interazione, ma tali desideri vanno gestiti affinché non prendano troppo spazio nella vita delle persone […] Abbiamo la responsabilità di aver portato grandi capacità nel mondo, e siamo ben consapevoli che ci saranno dei danni. Qualcuno potrebbe chiederci perché non farlo in modo da evitare tali danni, ma sarebbe una domanda frivola. L'alternativa sarebbe dare meno potenza alle persone, e sarebbe un pessimo scambio".

Dicono che nessuno smetta mai per davvero

E c'è un paradosso, evidente agli occhi di S. Crabb: da una parte si spingono le persone a spendere sempre più tempo online, e dall'altra ci si preoccupa perché lo fanno. Lo stesso vale per Google, che guadagna dalla pubblicità online; ma per R. Fernandez è bene preoccuparsi, perché "non facciamo affari spingendo la gente verso comportamenti autodistruttivi".

Secondo la psicologa Kelly McGonigal i dirigenti della Valley "vogliono davvero creare tecnologie che e dispositivi che migliorino la vita, ma si stanno rendendo conto di come le persone non riescano a staccarsene", e poi aggiunge che "le persone hanno una relazione patologica con i loro dispositivi. Non si sentono solo dipendenti, si sentono in trappola".

Ecco perché diverse aziende hanno avviato iniziative al proprio interno per evitare che il problema cresca e si diffonda tra i propri dipendenti, ancora prima che tra i consumatori. Meditazione e yoga sono le scelte che vanno per la maggiore, probabilmente anche perché si tratta di un fenomeno di gran moda negli ultimi anni, derivato direttamente dai movimenti New Age di qualche anno fa. È forse il caso di ricorrere al vecchio adagio "meditate gente, meditate".