I navigatori vogliono l'anonimato, diffidano della Rete

Il 68 per cento dei consumatori che navigano abitualmente in Internet vorrebbe un'opzione facile da usare per impedire la divulgazione dei propri dati personali. Tutto perché non c'è trasparenza sull'uso e sulla conservazione delle informazioni degli utenti.

Avatar di Elena Re Garbagnati

a cura di Elena Re Garbagnati

Chi naviga in Internet preferisce l'anonimato. È quanto emerge da una ricerca condotta in 11 paesi dalla società di ricerca Ovum, secondo cui due terzi dei consumatori sta iniziando a stancarsi del fatto che i propri dati personali vengano raccolti attraverso la Rete durante la normale attività di navigazione. Se esistesse un'opzione facile da attivare che impedisse la divulgazione dei propri dati, il 68% degli intervistati la userebbe.

Gli utenti non si fidano delle web company

A rendere sempre più popolare il tema della privacy e rendere gli internauti più consapevoli dei rischi che corrono, secondo lo studio hanno contribuito alcune notizie recenti, come per esempio la facilità di intercettazione dei messaggi scambiati con WhatsApp e le forti polemiche sulle politiche di privacy implementate dai maggiori social network.

Inoltre solo il 14 percento degli intervistati crede alla buona fede e alla correttezza delle Internet company quando si tratta di usare i dati dei propri utenti. Insomma per le aziende online si profila la difficile sfida di riuscire a modificare la percezione degli utenti riguardo al trattamento dei dati personali.

Secondo la società di ricerca le aziende coinvolte dovrebbero promuovere nuovi strumenti per la gestione e la tutela della privacy ed essere più trasparenti. Quest'ultimo ci sembra il tema che richiede la maggiore attenzione: come accaduto di recente con Skype, i dubbi portano alla diffidenza e al sospetto che ci sia qualcosa di losco da nascondere.

###old1580###old

Forse, se le aziende pubblicassero regolarmente dei report in cui chiariscono cosa se ne fanno delle informazioni degli utenti, a chi le cedono e a quali condizioni e come vengono archiviate, tutto sarebbe più facile.

Invece tante volte questa realtà è avvolta da una cortina di fumo che rende difficile condividere conclusioni come quella di Ovum, che dipinge la volontà di tutela della privacy come un atteggiamento che potrebbe avere "un impatto considerevole sull'industria digitale dei messaggi pubblicitari mirati, delle analisi dei dati e nelle altre applicazioni". Verrebbe da dire chissene importa.

Attendiamo quindi che Google, Facebook e altri prendano una decisione in merito, senza riporre però troppe speranze in un cambio di direzione. Non per questo però usare Internet significa accettare di essere trattati come merce di scambio. Chi vuole evitarlo può infatti scegliere tra diverse alternative, oltre alla vita da eremita: tanto per cominciare si può decidere di usare solo Internet Explorer 10, che ha attivata per default l'opzione "do not track". Chi invece è affezionato a Chrome o Firefox, può optare per uno o più plugin sviluppati per evitare il tracking pubblicitario - che sono una cosa diversa dal semplice blocco degli annunci. 

Se ci sono gli strumenti per proteggere la propria privacy dalle "spie" pubblicitarie, è bene ricordare ancora una volta un concetto semplice: "Se non lo stai pagando non sei il cliente, sei il prodotto venduto". Forse ognuno di noi dovrebbe domandarsi se è disposto a pagare, e quanto, per i contenuti che consuma online, in cambio di una rivoluzione su come vengono gestiti i dati personali.