I social network ci spiano, non cliccate Mi piace

Un'inchiesta del Wall Street Journal ha appurato che i widget dei social network prelevano dati sulle abitudini degli utenti, anche dopo che il computer è stato spento. Facebook, Twitter e Google assicurano che i dati non vengono usati per violare la privacy dei propri clienti, ma è già montata la polemica. Intanto Zuckerberg vuole aprire un social network per i minori di 13 anni.

Avatar di Elena Re Garbagnati

a cura di Elena Re Garbagnati

I social network ci spiano e violano la nostra privacy. Questo è, in sostanza, il risultato dell'inchiesta condotta e pubblicata dal Wall Street Journal sull'impiego delle informazioni raccolte mediante i social widget, ossia i pulsanti Like (Mi piace nella versione italiana) di Facebook, Tweet di Twitter e Buzz di Google. Se usate almeno una volta al mese i widget di Facebook o di Twitter i siti continueranno a raccogliere i dati di navigazione, anche dopo che avrete chiuso il browser o spento il computer.

Secondo il Wall Street Journal, i social network usano i widget per spiarci

L'unico modo per fermare la raccolta di informazioni è quello di fare il logout dal proprio account del social network. Facebook, Twitter, Google e tutti gli altri siti social che forniscono pulsanti di widget sostengono di non utilizzare i dati di navigazione così raccolti per monitorare gli utenti.

In dettaglio, Facebook dichiara di usarli solo per fini pubblicitari. Google, addirittura, sostiene che il proprio servizio Buzz fornisca informazioni non riconducibili agli utenti. Facebook ha fatto sapere che cancella i dati entro 90 giorni, Google entro due settimane, Twitter dice di non usarli per niente e comunque di eliminarli "rapidamente".

Lo schema del WSJ che spiega il metodo di raccolta dati attuato tramite i widget

I responsabili della raccolta dei dati relativi alle attività di navigazione degli utenti di Facebook (Facebook: condivisioni private con il tasto invia) hanno spiegato che il widget deve per forza poter individuare l'utente che lo ha selezionato per mostrare ai suoi amici il contenuto che gli è piaciuto. Fino a poco tempo fa alcuni widget di Facebook prelevavano anche i dati di navigazione relativi agli utenti che non erano registrati su Facebook, ma l'azienda ha confermato di non effettuare più questo tipo di raccolta.

Stando ai dati pubblicati dall'illustre quotidiano statunitense, il pulsante "Mi piace" di Facebook è presente in un terzo dei mille siti web più popolari secondo la classifica pubblicitaria di Google. Il widget di Twitter (Twitter ha rifiutato ben 10 miliardi da Google), invece, c'è sul 20% circa degli stessi siti e Buzz di Google sul 25 percento. Questi pulsanti consentono a chi pubblica contenuti di far lievitare le pagine viste con un metodo che, in sostanza, ricorda il vecchio passaparola.

Per farsi spiare sarebbe sufficiente cliccare una volta al mese sul widget Mi piace di Facebook

Il quotidiano statunitense ha affidato la parte tecnica della sua inchiesta a Kennish Brian, un ex ingegnere di Google, proprietario della Disconnect Inc, un'azienda che produce software specializzati, appunto, nel blocco dei prodotti che raccolgono dati mediante i widget. Brian ha passato al setaccio i mille siti web più popolari secondo la classifica pubblicitaria di Google e ha esaminato più di 200.000 pagine web. Facebook ha ottenuto i dati di navigazione degli utenti da 331 siti, Google da 250 siti, Twitter da circa 200 siti.

Anche il widget Tweet apre le porte alla violazione della privacy

Alcuni sostenitori della privacy hanno espresso preoccupazioni davanti alle informazioni pubblicate dal Wall Street Journal, sostenendo che queste procedure violano la privacy degli utenti. Peter Eckersley, un tecnico della Electronic Frontier Foundation, un gruppo di difesa della privacy, ha reagito a questa inchiesta dichiarando che "le nostre abitudini di lettura online svelano tutto quello che stiamo pensando, opinioni politiche e religiose, salute e problemi personali. Con questo sistema è come avere sempre una spia invisibile dietro alle spalle".

Mentre la polemica si infiamma negli Stati Uniti, Mark Zuckerberg, anziché lasciar calmare le acque, mette altra benzina al fuoco sollevando un altro argomento delicato: durante una intervista ha dichiarato che vorrebbe creare un ambiente sociale ed educativo sicuro per i bambini di età inferiore ai 13 anni.