Il mancato sviluppo hi-tech dell'Italia dipende anche da noi

Un ricercatore della North Carolina ha scoperto che i conservatori hanno meno fiducia nell'innovazione. Dietro a questa presa di posizione possono esserci vari motivi: uno chiave è che a loro parere la conoscenza dovrebbe rispettare comunque le regole del senso comune.

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a cura di Dario D'Elia

I conservatori hanno meno fiducia nella scienza, almeno secondo l'ultimo studio di un ricercatore della North Carolina. Questa tesi riguarda gli Stati Uniti, ma potrebbe tirare in ballo anche il resto dell'Occidente - Italia in testa. Gordon Gauchat, analizzando i dati che General Social Survey raccoglie dal 1972, ha scoperto che il rapporto con scienza, ricerca e tecnologia ha implicazioni "politiche". 

Ora, il primo errore che si potrebbe commettere è pensare che la politica viaggi a braccetto esclusivamente con i partiti: non è così. Nello studio si parla di politica anche in un senso più ampio, ed ecco perché sebbene questa ricerca riguardi gli Stati Uniti può essere utile anche per comprendere le dinamiche di altri paesi.

Gauchat ha rilevato tre potenziali approcci da parte delle persone. Il primo si basa sul riconoscimento dei benefici della scienza e il conseguente incremento di fiducia nella stessa. Il secondo è correlato al fatto che ogni processo ha un picco massimo, sia perché vi sono dei limiti di fiducia che si possono dare a un settore, sia perché si crea un disagio con la modernità e quindi con il settore che ha reso il tutto possibile. Il terzo ha a che fare con i condizionamenti attuati da sotto-gruppi della popolazione.

Gates e Jobs

Quest'ultimo caso è senza dubbio il più interessante poiché più ricerche sociali sembrano confermare come sia cambiato il ruolo della scienza: da uno strumento per migliorare produttività e standard di vita, a giustificazione primaria per gli indirizzi delle leggi. Ecco quindi come i sotto-gruppi possono inserirsi per condizionare questa visione. Si pensi ad esempio lobby, accolite, luddisti, attivisti, geek, etc.

Insomma Gordon Gauchat ha scoperto che un tempo tutti condividevano un equo rispetto per la scienza, ma dagli anni '80 i conservatori sono diventati più critici rispetto ai liberali. Purtroppo non è chiaro quale aspetto preciso non convinca più, ma resta il fatto che secondo il ricercatore "i conservatori sono più inclini a definire la scienza come una conoscenza che dovrebbe rispettare il senso comune e la tradizione religiosa". 

Ora, conservatori e liberali sembrano categorie lontane dal quotidiano, ma in verità tutti sono più o meno inclini a una delle due posizioni. La vera discriminante è che la maggioranza delle persone non sa che cosa voglia dire essere conservatori o liberali (in senso ampio). Si può benissimo vivere senza farsi categorizzare, ma quel che veramente conta è che una società che non ha coscienza di sé stessa si priva degli strumenti per comprendere meglio il presente e quindi progettare il futuro. Se non sappiamo chi siamo e cosa vogliamo realmente appare difficile mettere un passo davanti all'altro, al massimo si "fugge in avanti". Con tutti gli effetti collaterali del caso.

L'indagine di Gordon Gauchat è utile senza dubbio come spunto di riflessione, non tanto per mettere alla gogna i conservatori e glorificare i liberali, ma per domandarsi cosa voglia dire avere fiducia nella scienza. E ancora di più quale sia il rapporto "sano" con lo sviluppo tecnologico. E per sano si intende quello produttivo, efficiente e di maggiore equilibrio con quell'organismo chiamato società/comunità.

Pensiamo al futuro

In Italia, ad esempio, tutti lamentano l'arretratezza tecnologica del paese rispetto all'Europa che conta. Guardiamo con invidia i servizi broadband dei paesi scandinavi, l'efficienza teutonica e lo sciovinismo hi-tech della Francia. Ridicolizziamo i francesi quando si ostinano a chiamare un personal computer "ordinateur", ma in fondo ci fa anche comodo dimenticare che il processo di nominazione delle cose è pur sempre una forma di controllo su di esse e una sorta di linea Maginot culturale contro le invasioni barbariche. Non sono proprio stupidaggini. Ovviamente continueremo a rabbrividire di fronte a termini come "direttorio" o "parola d'ordine".

Quel che non si dice in Italia è che la maggioranza degli appassionati hi-tech sono probabilmente molto conservatori e più che altro feticisti dell'oggetto. E quelli ancora più rigidi e ostinati si nascondono fra le file dei fanboy. Non abbiamo dati statistici per confermare questa tesi, ma è una sensazione che rileviamo quotidianamente nel rapporto con i nostri lettori (forum e commenti).

Come può un paese prendere il volo se anche la sua ala più appassionata lo piomba al terreno? Certo non vogliamo un mondo di geek che di fronte a qualsiasi innovazione batta le mani, ma sarebbe bello se la critica fosse accompagnata anche dalla fiducia nel buon sviluppo - nella correzione dell'imperfezione tecnologica. Guardare insomma a una novità come a un piantina che sta germogliando. Sì, magari adesso appare sgraziata, incomprensibile nelle sue forme e colori, ma domani chissà... potrebbe essere degna di interesse per tutti. Potrebbe cambiare in meglio le vite delle persone. Potrebbe essere migliore di quel che io vedo in questo momento. 

Basterebbe poco sforzo: si chiama visione periferica.