Il profilo di Gaia Costantino, startupper di Veespo

La puntata zero di una rubrica che vuole raccontare il fenomeno delle startup in Italia. Abbiamo intervistato Gaia Costantino, startupper di Veespo. Vogliamo dare visibilità ogni settimana a un progetto, ma prima di tutto mettiamo in chiaro come funziona.

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a cura di Dario D'Elia

Gaia Costantino oggi ha 26 anni, ma è da quando ha 18 anni che non vive con i suoi a Bari. Una volta diplomata si è inscritta al corso di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Torino. Ha conseguito la laurea di 1° livello e poi quella magistrale. Per la tesi, "International New Ventures: case studies on Italian high tech companies" ha approfittato di un periodo estivo di ricerca e internship in Silicon Valley grazie a "Mind The Bridge Foundation".

Tornata in Italia ha deciso che il suo mondo sarebbe stato quello delle startup, ma senza gravare sulle spalle dei genitori. "Mi hanno pagato gli studi, era giusto che facessi da sola", dice Gaia. E così all'inizio ha lavorato come consulente per qualche società e alla fine è sbarcata a Milano in Veespo. Una startup che ha sviluppato un'applicazione per raccogliere e gestire opinioni in modo "universale, veloce e dettagliato".

Gaia Costantino

Già, sempre il capoluogo lombardo come polo hi-tech italiano. "Milano sotto questo punto di vista è la capitale delle startup italiane", prosegue Gaia. "La Lombardia rappresenta il 18%, quando solo il Centro Italia e il Sud Italia sono rispettivamente al 23% e 17%".

Ma la cosa che colpisce di più forse riguarda la presenza di spin-off universitarie che partono dalla ricerca: si parla di circa il 18%. "Nel mondo delle startup sono un po' nell'ombra. Infatti agli eventi se ne vedono pochi di progetti che sono figli della ricerca scientifica", prosegue Gaia. "Invece sono quelle che rispetto al ragazzino che ha l'idea ma non sa come svilupparla, partono da un fondamento scientifico. Sono quelle che poi diventano effettivamente imprese".

Negli Stati Uniti gli spin-off universitari sono molto più diffusi. Ad esempio non si contano le realtà fondate da professori e ricercatori del MIT di Boston. In Italia sono un po' nell'ombra ma ci sono. Un esempio è quello del professor Emilio Paolucci, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, nonché co-fondatore della Electro Power Systems.

In ogni caso il 40% dei progetti rientra nell'ICT che si rivolge al mondo consumer. E questo per molti potrebbe essere un grande scoglio perché grandi numeri richiedono strutture più ampie, mentre pochi committenti (come nell'ambito business) richiedono magari una maggiore personalizzazione dei servizi.

"Alcuni presidiano delle nicchie di mercato. Ad esempio nella formazione online è difficile che diventi leader di mercato, ma c'è spazio per tutti. Poi che da lì che sia sostenibile il business è un'altra cosa".

Secondo la nostra esperta spesso alcune attività non sono sostenibili nel tempo. E in ogni caso di startup che poi hanno sfondato sul mercato ne conta meno dell'1%. Però alcune diventano medie imprese e lentamente cominciano ad andare in pari (break even) e poi guadagnare.

Quali sono esattamente i passaggi che contraddistinguono il percorso di una startup? Il primo ovviamente è quello di avere un'idea vincente, il secondo è quello di trovare validi collaboratori. Dopodiché arriva la fase del progetto e qui entrano in gioco gli incubatori, o acceleratori. "Danno il supporto adeguato per lo sviluppo del business. Aiutano a capire ciò di cui si ha bisogno", spiega Costantino. "Alcuni dispongono anche di fondi come ad esempio H-Farm o Nana Bianca. Di solito però tocca partecipare a eventi e festival per farsi conoscere".

Dopodiché inizia la caccia ai fondi di business angel. In Italia quelli più in vista sono Italian Angels for Growth e IBAN – Italiana Business Angel Network. Poi ci sono i veri e propri venture come Pixel o 360 capital partner. Da lì in poi si amplia la struttura e si dovrebbe essere prossimi allo sbarco sul mercato.

Con la rubrica "Italiani a Berlino con la valigia di silicio" stiamo cercando di raccontare le storie di chi è emigrato per realizzarsi. Adesso invece vogliamo inaugurare un'altra rubrica dedicata alle startup italiane per dare la possibilità a chi è rimasto di guadagnare visibilità nazionale. Non credo sia giusto denigrare chi è andato via e santificare chi decide di stare in Italia. Ci penserà il mercato a decretare i vincenti. Limitiamoci a riconoscere a tutti fiducia e solidarietà: chi è fautore del proprio destino si è già smarcato ampiamente dalla mediocrità. Gli andrebbe riconosciuto.

Questa è la puntata zero.