Il robot sente dolore e per l'industria è un vantaggio

Una sostanza sintetica simile alla pelle umana avvolge un braccio robotizzato e lo rende capace di percepire il dolore. L'obiettivo è rendere la macchina più sicura per gli esseri umani che vi lavorano accanto, ma anche per sé stessa.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

I robot non sentono dolore, è uno degli aspetti che caratterizzano le macchine. Gli esseri umani invece sì, e c'è una ragione: il dolore fisico ci fa percepire ed evitare il pericolo. Semplicemente, ci impedisce di tenere una mano sul fuoco, e di danneggiarla irreparabilmente. È quindi uno strumento molto utile.

Johannes Kuehn e Sami Haddadin (Leibniz University of Hannover) credono che servirebbe anche ai robot. Una macchina capace di "sentire dolore" potrebbe evitare, come nel caso degli umani, di evitare situazioni pericolose.

I due ricercatori hanno quindi sviluppato un "tessuto nervoso" ispirato alla pelle umana, con cui ricoprire il robot. Un sistema che può percepire il dolore e classificarlo su tre diversi livelli. Dopodiché il robot può rispondere adeguatamente, allontanandosi dalla fonte del contatto (l'esempio preso in considerazione), ed eventualmente chiedendo aiuto.

D'altra parte, si legge sulla rivista IEEE Spectrum, il fatto che le macchine non sentano dolore ci permette di metterle a fare lavori pericolosi senza problemi etici di sorta. Con il tempo, invece, un sistema come quello proposto potrebbe anche portarci a sviluppare empatia verso le macchine.

Per il momento la proposta di Kuehn e Haddadin ha solo risvolti positivi, perché potrebbe ridurre sensibilmente i costi di gestione e mantenimento delle macchine. Ancora più importante, questi robot sensibili potrebbero risultare più sicuri per le persone che lavorano accanto ad essi. Una priorità che non possiamo certo sottovalutare.

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Una prospettiva positiva, ma allo stesso tempo suona sinistra l'idea di una macchina ricoperta di pelle sintetica in grado di sentire dolore. Un'idea che pone anche un dilemma di non facile soluzione: da una parte tendiamo a costruire le macchine imitando noi stessi, ma dall'altra se diventano "troppo umane" si possono innescare meccanismi relazionali complessi, con conseguenze imprevedibili. Uno scenario verso il quale, sembra, proviamo un timore innato e profondamente radicato.