Il Sistema Solare come non l'avete mai visto grazie a un algoritmo italiano

Grazie al lavoro del Politecnico di Torino l'ESA scatterà immagini migliori e più leggere da trasmettere del Sole e della Terra. Ecco l'intervista con il professore Enrico Magli che ha coordinato il progetto commissionato da ESA.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Il Politecnico di Torino, su richiesta dell'Agenzia Spaziale Europea, ha sviluppato un algoritmo di compressione veloce, flessibile ed efficiente che sarà usato per le immagini scattate nelle prossime missioni METIS (che sarà in orbita attorno al Sole) dell'ESA e Prisma (in orbita attorno alla Terra) dell'Agenzia Spaziale Italiana.

Vi siete mai chiesti come avviene la raccolta delle immagini spaziali, come quelle di Rosetta e dei rover su Marte? Sono la base dell'esplorazione e della ricerca scientifica spaziale, perché oltre ad essere suggestive per il grande pubblico sono anche ricche d'informazioni necessarie agli scienziati per svolgere il loro lavoro.

Terra

Provengono da sensori multispettrali e iperspettrali (che forniscono immagini di corpi a distanza, analizzando l'energia emessa a varie lunghezze d'onda e identificandola con colori differenti) montati a bordo di satelliti o dei rover. Una volta scattate queste immagini vengono memorizzate in una memoria di bordo temporanea, quindi trasmesse alle stazioni riceventi a Terra.  Qui entra in gioco il lavoro di compressione, che è uno dei passaggi fondamentali per la buona riuscita dei progetti. Per capire meglio di cosa si tratta abbiamo intervistato il professore Enrico Magli del Politecnico di Torino, che ha curato la progettazione e la realizzazione di un algoritmo innovativo.

L'importanza degli algoritmi di compressione deriva dal fatto che "il canale di comunicazione fra il satellite e la stazione ricevente ha una capacità relativamente limitata soprattutto in confronto alla quantità e alle dimensioni delle immagini che vengono acquisite. La compressione è fondamentale per riuscire a trasmettere più immagini, quindi per massimizzare il ritorno scientifico del satellite inviando una maggiore quantità di immagini a Terra" ci spiega il professor Magli. "Immaginate che il satellite sia in orbita attorno alla Terra, che ci sia un certo numero di stazioni riceventi e che il satellite possa trasmettere soltanto in finestre di qualche minuto quand'è in vista diretta della stazione di Terra. Si parla di poche finestre da 10-15 minuti al giorno in cui si può trasmettere".

Per questo l'ESA e l'ASI hanno sentito la necessità di avere un nuovo algoritmo di compressione che consenta di ottenere immagini di migliore qualità, da trasmettere a Terra nel modo più efficiente possibile.

Sole
Immagine da un coronografo solare

Quello sviluppato al Politecnico di Torino è un algoritmo che "genera un'immagine in un formato compresso definito da noi, e che può funzionare in modalità diversa a seconda della missione alla quale dev'essere applicato" spiega Magli.

"L'idea è di avere uno strumento che sia abbastanza flessibile da potersi adattare a qualunque tipo di missione, con qualche lavoro di ottimizzazione a seconda delle specifiche esigenze. Lo proporremo anche per standardizzazione all'ente CCSDS, il comitato di standardizzazione formato dalle agenzie spaziali più importanti al mondo, che standardizza ogni tipo di algoritmo per applicazioni spaziali". 

Le modalità di funzionamento sono tre: Lossless, con Controllo di qualità e con controllo del bit rate.

"La modalità 'senza perdite' (lossless) è in realtà un algoritmo già esistente da cui noi siamo partiti, secondo il quale la stazione di Terra ricostruisce l'immagine in maniera esatta, quindi non c'è nessuna perdita d'informazione. Questa modalità si usava soprattutto nel passato perché ha lo svantaggio che - a fronte di una qualità perfetta - si comprime abbastanza poco quindi non c'è un vantaggio molto netto nell'applicare la compressione".

Per ovviare al problema dell'alto numero di dati da trasmettere Magli e il suo gruppo di lavoro hanno sviluppato due modalità aggiuntive. "Una è una modalità di Controllo di qualità, in cui l'utente ammette che l'immagine che viene ricostruita alla stazione di Terra non sia identica a quella originaria. Però lo scienziato è in grado di fissare la quantità di perdita d'informazione che viene applicata all'immagine. Maggiore è la tolleranza alla perdita d'informazione maggiore è la compressione che si ottiene.

Non è necessariamente detto che introdurre delle perdite d'informazione sia dannoso, perché le immagini che vengono acquisite a bordo dei satelliti sono piuttosto rumorose, per cui generalmente una compressione con perdite leggere in realtà tende a migliorare la qualità dell'immagine proprio perché toglie un po' di rumore. Se si aumenta la compressione si aumentano le perdite e a quel punto si rimuove anche dell'informazione utile. Entro un certo limite questo è accettabile, però non bisogna esagerare perché non si spendono milioni di euro per mandare in orbita un satellite e farsi mandare delle immagini di bassa qualità. La modalità di controllo della qualità è molto utile e viene molto apprezzata dagli scienziati perché permette di vincolare qual è il massimo errore di misura e di ricostruzione su ciascun pixel dell'immagine".

Satellite

Riuscite in fase di compressione a definire quali sono le parti di rumore ed eliminarle e quali no? "Entro certi limiti si potrebbe fare però è un po' complesso farlo con le nostre tecniche. Non lo facciamo in maniera esplicita però in qualche modo l'algoritmo lo fa, nel senso che tipicamente va ad inserire le sue perdite nelle regioni in cui c'è anche il rumore. Tuttavia non rimuove il rumore in maniera ottimale; per intenderci gli attuali software per manipolare le fotografie possono anche ridurre il rumore e lo fanno in maniera più accurata. Noi lo facciamo in modo meno preciso, come sottoprodotto della compressione, ma in qualche modo rimuoviamo una parte del rumore".

Il motivo di questo limite non è di natura software ma hardware: "a bordo del satellite le risorse di calcolo sono abbastanza limitate, quindi non si possono far girare sul satellite degli algoritmi troppo complicati, e i modelli sofisticati del rumore richiedono dei calcoli che a Terra si possono fare e si fanno, mentre a bordo del satellite si preferisce evitare di farli. Ricordiamo – come ci aveva spiegato Massimo Violante del Dipartimento di Automatica e Informatica del Politecnico di Torino – che uno smartphone dei nostri tempi è tipicamente più potente dei sistemi di elaborazione a bordo dei satelliti. Anche perché devono consumare poco: uno dei limiti principali a bordo dei satelliti è l'energia disponibile: se si installa un sistema di calcolo troppo potente i calcoli si fanno, ma per poco tempo".

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C'è poi una terza modalità, che "consiste nel controllo del rate di trasmissione, in poche parole la dimensione del file compresso. L'algoritmo può funzionare anche in modalità ibrida, controllando sia la qualità che il rate di trasmissione, quindi il rapporto di compressione dell'immagine entro limiti ragionevoli". 

Visto che non tutti hanno dimestichezza con sensori e fattori di compressione, è meglio dare qualche riferimento: "per sensori iperspettrali per osservazione della Terra parliamo di un fattore di compressione fra 2 e 3. Per la compressione con perdite dipende dal compromesso fra la qualità e la quantità di compressione che si vuole ottenere. Per dare un'idea, nel progetto METIS c'è stato richiesto un rapporto di compressione di 10:1 comprensivo però del cosiddetto binning. Per dare un riferimento i sensori commerciali hanno mediamente dei rapporti di compressione di circa 4:1. Normalmente si generano 2 bit per ogni campione dell'immagine quando il campione originario è su 8 bit".

esa metis
ESA METIS

Le missioni in cui verrà impiegato il nuovo algoritmo sono molto differenti e rendono bene l'idea della sua flessibilità. Il professore Magli ci spiega che "per quanto riguarda METIS l'abbiamo applicato alle immagini di un coronografo solare, un sensore per immagini che verrà lanciato a bordo di una missione dell'ESA che andrà a orbitare intorno al Sole e darà immagini della nostra stella e della sua corona solare. In questo caso gli scienziati ci hanno chiesto una maggiore qualità nella parte dell'immagine che contiene la corona solare, quindi la parte vicina ai bordi del Sole perché in quella parte si vedono i venti solari che sono l'aspetto che gli scienziati vanno a studiare. La qualità diventa più bassa man mano che si va verso l'esterno, dove non ci sono dati d'interesse".

Uno dei punti di maggiore interesse di questo algoritmo è che non si limita a lavorare sulle immagini in bianco e nero (come quelle scattate da Rosetta) ma sugli "scatti multispettrali o iperspettrali, il che significa che le immagini vengono acquisite in tante lunghezze d'onda (da 10 a 10mila), quindi è come avere 10mila immagini che vengono compresse insieme" ci spiega Magli.

A questo punto saremmo curiosi di sapere quali saranno gli sviluppi relativi alle tecnologie che verranno usate sui satelliti. "Per quanto riguarda l'elaborazione a bordo il limite che c'è in questo momento è quello della potenza di calcolo, perché si potrebbero fare tante cose interessanti direttamente a bordo del satellite se ci fosse sufficiente potenza di elaborazione a disposizione. Tanto per dire si potrebbero elaborare le immagini direttamente a bordo e mandare a Terra solo quelle che sono davvero d'interesse. Una cosa su cui l'ESA si sta interessando è l'uso delle GPU. A terra sono molto diffuse, vengono usate per i calcoli scientifici su workstation molto grandi e sono anche sulla maggior parte dei telefoni cellulari. Gli ostacoli al momento sono il consumo energetico e il fatto che non è ancora stata sviluppata una versione radiation tolerant che possa essere montata a bordo di un satellite.

Rover Marte

Dal punto di vista degli algoritmi la tecnologia prosegue, ci sono molte tecniche di compressione video che vengono usate a Terra e che potrebbero essere replicate in campo spaziale con le dovute semplificazioni. L'evoluzione della compressione software infine seguirà anche l'evoluzione dei sensori perché nel momento in cui si generano nuovi sensori che collezionano informazioni utili diverse da quelle che abbiamo adesso bisognerà studiare algoritmi diversi da quelli attuali. Sulle telecomunicazioni invece si può fare poco. A Terra per migliorare velocità e copertura basta aumentare e potenziare le stazioni di trasmissione. Dallo Spazio è diverso perché c'è semplicemente un grosso ponte radio fra il satellite e la stazione di Terra: si posso migliorare le antenne, ottimizzare i codici ma è difficile che le comunicazioni migliorino di ordini di grandezza".