Internet ci rende intelligenti, altro che stupidi!

Un libro di recente pubblicazione riscatta il ruolo di Internet e delle ricerche web: non rendono i ragazzi meno intelligenti, anzi, stimolano la ricerca di informazioni e lasciano la mente libera dal bisogno di memorizzarle per dedicarsi ad attività più importanti.

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a cura di Elena Re Garbagnati

Internet non ci rende stupidi. I giovani di oggi hanno semplicemente un modo differente di pensare e di gestire le informazioni rispetto a quelli di un tempo. È questa la morale che si evince dal libro Twentysomething pubblicato di recente negli Stati Uniti da Robin Marantz Henig & Samantha Henig.

Le scrittrici passano in rassegna alcune delle teorie che si sono sviluppate negli anni relative all'uso di Internet e alla sua influenza. La conclusione è una sostanziale smentita delle correnti di pensiero che vogliono bollare Internet come una bestia nera per il cervello. Certo, i giovani hanno cambiato il loro modo di approcciare ai problemi e alle esigenze quotidiane, ma questo non è necessariamente un male.

La ricerca su Internet stimola il cervello

Il punto di partenza di Henig e figlia è un articolo pubblicato da Nicholas Carr nel 2008 in cui si leggeva che l'abitudine di usare Google come memoria assistita fa decadere i vantaggi di usare il cervello per eseguire da solo questi compiti. Avere Google a portata di manonon obbliga le persone a ricordarsi nulla, perché basta una ricerca veloce per pescare al volo l'informazione di cui si necessita.

Un gruppo di ricercatori dell'UCLA ha usato la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per dimostrare che le persone che usano spesso Internet in realtà mostrano un aumento dell'attività cerebrale, stimolata dalla ricerca di nuove informazioni. L'esperimento è stato condotto su 24 persone di età compresa fra 55 e 76 anni, di cui la metà aveva fatto regolarmente uso delle ricerche web, l'altra non aveva mai svolto questa attività. Entrambi i gruppi sono stati impegnati in due attività differenti: la lettura di un libro e la ricerca su Internet.

La risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che in tutti i casi la lettura di un libro impegna le regioni temporale, parietale, e i lobi occipitali del cervello. Nella ricerca online su argomenti di sicuro interesse il cervello ha mostrato l'attivazione nelle stesse regioni cerebrali, con un supplemento dell'attività nel polo frontale, nella regione temporale anteriore e nell'ippocampo in alcuni soggetti. Questo dimostra che oltre alle aree deputate al linguaggio, alla lettura, alla memorizzazione e alla vista in alcuni casi si sono attivate anche quella deputate ai processi decisionali e ai ragionamenti complessi.

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Una seconda risposta a Carr arrivò dall'Associazione dei Ricercatori di Internet, secondo cui le ricerche sul web consentono di liberare il cervello per le cose più importanti. Questo perché a quanto pare i giovani usano Google come una sorta di memoria ausiliaria

Nel 2011 un gruppo di psicologi della Columbia University ha chiesto ad alcune cavie di digitare una serie di informazioni. Alla metà dei partecipanti era stato detto che il file contenenti le informazioni sarebbero stati accessibili in seguito, agli altri che i file sarebbero stati cancellati. Quelli che pensavano che sarebbe andato tutto perso qualche giorno dopo ricordavano molto di più, a conferma del concetto di memoria ausiliaria di cui si parlava sopra. 

Il libro, che non è un trattato scientifico, sfrutta questi elementi per spiegare le differenze e le divergenze fra giovani e genitori d'oggi. Qualcosa di simile era già stato detto da professori di psicologia e docenti di psicoterapia della Lumsa di Roma, con una maggiore estremizzazione dei concetti.

La verità è che le differenze fra generazioni ci sono sempre state e non sono solo il computer e Internet a crearle. Certo, gli strumenti tecnologici hanno un ruolo preponderante nella vita dei ragazzi di oggi, ma questo non è necessariamente né un bene né un male assoluto.