Italia: obsolescenza programmata vietata per legge

L'obsolescenza programmata è una pratica industriale che permette in sede progettuale e realizzativa di decidere la longevità di ogni prodotto tecnologico.

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a cura di Dario D'Elia

La cosiddetta obsolescenza programmata dei beni di consumo potrebbe essere sconfitta grazie a una recente proposta di legge presentata da un gruppo di deputati di Sinistra Ecologia e Libertà. Non è cosa di poco conto poiché questo artificio dell'industria, teorizzato all'inizio del '900, costa ai cittadini italiani miliardi di euro ogni anno.

Si tratta infatti di una pratica industriale che permette in sede progettuale e realizzativa di decidere la longevità di ogni prodotto tecnologico. Il fine ovviamente è quello di "imporne la sostituzione con un nuovo prodotto, più efficiente e funzionale, la cui carica innovativa viene pianificata in precedenza", come spiega con precisione la proposta di legge.

La riparazione ci salverà

Basta citare il primo caso storico di questa strategia, ovvero l'accordo (Phoebus) del 1924 fra i produttori di lampadine ad incandescenza che stabilì per le stesse una vita di sole 1.000 ore invece le precedenti 2.500. Da allora l'applicazione dell'obsolescenza programmata a ogni prodotto si è fatta sempre più sofisticata.

Recentemente uno studio commissionato dal gruppo parlamentare tedesco Verdi-Bündnis e realizzato da Stefan Schridde (esperto in gestione d’impresa) insieme con Christian Kreiss (docente di organizzazione aziendale all'università di Aalen) sembrerebbe confermare che molti elettrodomestici e comuni dispositivi sarebbero "programmati per rompersi velocemente dopo lo scadere del periodo di garanzia".

Si pensi ad esempio alle stampanti che si bloccano dopo un prestabilito numero di copie stampate, le lavatrici con le barre di riscaldamento realizzate con leghe o metalli che arrugginiscono facilmente, etc. Ora, è evidente che se vi fosse sempre la possibilità di intervenire tramite riparazione i consumatori ne trarrebbero sicuramente beneficio. Contemporaneamente è anche vero, cosa non meno importante, che scenderebbero drasticamente anche i volumi di rifiuti elettronici. Questa piccola rivoluzione è figlia di una corrente di pensiero chiamata "Decrescita Felice", che anche in Italia ha dato vita a un vero e proprio movimento.

 Luigi Lacquaniti

L'On. Luigi Lacquaniti e i suoi colleghi propongono una legge che tuteli il consumatore da tale pratica, che permetta una reale e leale concorrenza di mercato e che favorisca la creazione di posti di lavoro legati alle pratiche di manutenzione e riparazione dei beni di consumo.

Il primo punto è quello della definizione della "obsolescenza programmata". Il secondo riguarda la responsabilità del venditore per la garanzia sul difetto di conformità: dovrebbero essere 10 anni per un bene di consumo di "lungo corso" (tipo grandi elettrodomestici) e 5 anni per gli altri casi. La lista comunque dovrebbe essere compilata dal Ministro dello Sviluppo in collaborazione con le parti in causa.

"Il produttore di un bene di consumo deve assicurare la disponibilità delle parti di ricambio per tutto il tempo in cui il bene è immesso in circolazione nel mercato, nonché per i cinque anni successivi", è un altro punto chiave della proposta. "Il costo della parte di ricambio deve essere sempre e comunque proporzionato al prezzo di vendita del bene".

Si parla anche di sanzioni in caso di inosservanza degli obblighi previsti: da 700 euro fino ad arrivare a 500mila per gravi violazioni.

Chissà cosa ne pensano gli imprenditori e gli industriali di questa proposta. Un mercato fatto di minori volumi di vendita e prodotti di maggiore qualità è senza dubbio allettante. Ma è anche vero che vi sarebbero effetti collaterali sui prezzi di listino. E la maggioranza delle famiglie sarebbe costretta a ricorrere a finanziamenti anche per il più banale dei grandi elettrodomestici.

Insomma, il tema si presta a dibattito.

Aggiornamento. Esiste un altro tipo di "obsolescena pianificata" che è quella percepita, e teorizzata da Brooks Stevense negli anni '50. In questo caso l'intento è di fare propaganda per "creare un consumatore insoddisfatto del prodotto di cui ha goduto affinché lo venda di seconda mano e lo comperi più nuovo con una immagine più attuale". Vale anche per l'innovazione, ma ovviamente è più difficile da contrastare per legge. Motivo cui di solito la lotta si concentra nei confronti di quella "programmata".