La lezione di Napster

L'attacco di Steve Jobs ai DRM, tecnologia che impedisce la fruizione libera dei contenuti multimediali, va letto nella giusta ottica. Apple potrebbe attrarre anche altri nomi al proprio fianco in questa battaglia. Che una volta tanto, vede come centrali i diritti del consumatore.

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a cura di Tom's Hardware

La lezione di Napster

Ah certo, Napster. Vi ricordate quel servizio che diventò il primo P2P di successo in termini di mercato raggiunto, attraendo milioni di downloader nei tardi anni 90 e che fu citato senza motivo dalla Recording Industry Association of America (RIAA)? Wikipedia ci ha aiutato a ricordare gli eventi che hanno avvolto Napster, chiuso nel tardo 2002.

Una volta che la RIAA, organizzazione che rappresenta l'industria discografica USA, ha realizzato l'impatto di Napster, il destino del servizio fu segnato. Ognuno è consapevole del fatto che c'è stato un serio problema d'istigazione alla pirateria, tuttavia abbiamo i nostri dubbi sul fatto che la RIAA sia stata così onesta nelle sue motivazioni per far chiudere Napster: Cosa più importante, l'organizzazione affermò che coloro che soffrivano dell'illegalità di Napster erano i musicisti: gli artisti avevamo bisogno di un modello che permettesse loro di essere adeguatamente compensati.

Ma la campagna della RIAA non era nata a difesa degli artisti. Era per difendere l'infrastruttura. Napster metteva in evidenza la volontà della gente di scaricare la musica per ascoltarla sul PC, a patto che i contenuti fossero accessibili in modo semplice e conveniente. Il problema tuttavia è stato che Napster è diventato un pericolo per la RIAA, perché escludeva gli intermediari della distribuzione musicale e trasformava i publisher - la maggiore fonte di fatturato della RIAA - in figure irrilevanti.

Per Napster essere cresciuto così tanto e così velocemente è stata una vera sfortuna, non lasciando alla RIAA altra scelta se non quella di appropriarsi di un'idea ingegnosa per la distribuzione della musica e plasmarla per il suo interesse.

Sfortunatamente non viviamo in un mondo che si fa domande e i vertici della musica devono fare i conti con il fatto che iTunes detiene il controllo del 70% del mercato della musica digitale. Apple ha tappato lo spazio vuoto lasciato da Napster e ha costruito la sua fortuna sull'esperienza del suo predecessore: Apple aveva capito che gli utenti erano pronti per la multimedialità su PC ed MP3, se solo avessero avuto a disposizione una libreria musicale completa e di facile consultazione.

Un veloce accenno a chi afferma che la gente utilizzava Napster solo perchè fosse gratis: sì, c'erano degli utenti che piratavano contenuti solo per il semplice proposito di farlo, ma chiunque abbia utilizzato Napster sapeva che avrebbe trovato canzoni con una qualità accettabile per l'ascolto su PC (non parliamo di masterizzazione su CD). Inoltre dobbiamo dire che la stragrande maggioranza degli utilizzatori di Napster avrebbe voluto passare a servizi commerciali a un costo ragionevole - in cambio di musica di qualità più elevata e garanzie di libertà dai virus. Inoltre non dimentichiamo che moltissimi usavano Napster anche per reperire brani musicali rari e praticamente introvabili sul mercato tradizionale.

iTune compensa i musicisti come diceva la RIAA? Sebbene non ci siano numeri ufficiali, una fonte credibile ci ha confermato che dei 99 centesimi versati dal cliente, solo cinque vanno all'artista. Apple si prende una grande fetta, ma la fetta ancora più grande - 60/70% - se la prendono i discografici. A voi lasciamo la scelta di decidere se questo sia leale oppure no.

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