La Polizia ci spia su Facebook senza autorizzazione

La Polizia italiana, stando a quanto riporta l'Espresso, ha stipulato un accordo con Facebook. È stato creato un accesso privilegiato che consente di controllare i contenuti online senza il bisogno di coinvolgere la Magistratura.

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a cura di Pino Bruno

La Polizia italiana è la prima in Europa a disporre di un accesso privilegiato ai contenuti di Facebook. I quattrocento agenti della direzione investigativa della Polizia postale e delle comunicazioni potranno sbirciare e registrare i quasi 17 milioni di profili italiani. Lo scrive L'Espresso in edicola domani. L'Italia è il primo paese europeo, aggiunge il settimanale, ad aver stipulato un accordo con il social network per consentire alla polizia "di attivare una serie infinita di controlli sulle pagine del social network, senza dover presentare una richiesta alla magistratura  e attendere i tempi necessari per una rogatoria internazionale".

Il pericolo Facebook all'orizzonte

L'Espresso rivela che l'accordo con Facebook  è stato firmato due settimane fa dai funzionari italiani che sono andati a Palo Alto perché, scrive il magazine, "la tempestività di intervento è fondamentale per reprimere certi reati che proprio per la velocità di diffusione su internet evolvono in tempo reale".

"Ma siamo certi - si chiede l'Espresso - che tutto ciò avverrà nel rispetto della nostra privacy?". "In realtà - scrive Giorgio Florian - ormai da un paio d'anni, gli sceriffi italiani cavalcano sulle praterie di bit. Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza e persino i vigili urbani scandagliano le comunità di Internet per ricavare informazioni sensibili, ricostruire la loro rete di relazioni, confermare o smentire alibi e incriminare gli autori di reati".

"Sempre più persone conducono in Rete una vita parallela e questo spiega perché alle indagini tradizionali da tempo si affianchino pedinamenti virtuali. Con la differenza che proprio per l'enorme potenzialità del Web e per la facilità con cui si viola riservatezza altrui è molto facile finire nel mirino dei cybercop: non è necessario macchiarsi di reati ma basta aver concesso l'amicizia a qualcuno che graviti in ambienti interessanti per le forze dell'ordine".

Secondo il settimanale l'accordo consente di avere una "corsia preferenziale" per contrastare la "lotta alla pedopornografia, al phishing e alle truffe telematiche, ma anche per evitare inconvenienti ai personaggi pubblici i cui profili vengono creati a loro insaputa".

Un'intesa, dunque, che "consegna alle forze dell'ordine il passepartout per aprire le porte delle nostre case virtuali senza che sia necessaria l'autorizzazione di un pubblico ministero".

AGGIORNAMENTO

La Polizia "non può accedere ai profili degli utenti di Facebook, se non dopo un'autorizzazione del magistrato e con l'utilizzo di una rogatoria internazionale". Lo precisa il direttore della Polizia postale e delle comunicazioni, Antonio Apruzzese, in riferimento all'articolo che sarà pubblicato domani dall'Espresso.

"Si tratta di un equivoco" afferma Apruzzese, che poi spiega: "Alcune settimane fa sono venuti i responsabili di Facebook in Italia, in seguito ad una serie di contatti che abbiamo avuto nei mesi passati con l'obiettivo di capire come funziona la loro macchina". Nel corso dell'incontro, i responsabili dell'azienda di Palo Alto hanno fornito alla polizia postale - che le ha a sua volta inoltrate a tutte le forze di polizia italiane - le linee guida per gestire tutto ciò che richiede l'intervento della polizia giudiziaria. "Ci hanno spiegato le loro procedure d'intervento - dice ancora Apruzzese - e si tratta di procedure che non ci consentono in alcun modo di accedere ai profili".

Dunque nessuna possibilità di spiare gli utenti. "Noi - prosegue il direttore della polizia Postale - svolgiamo quotidianamente un'attività di monitoraggio della rete, che è la stessa che fanno i colleghi in strada con le volanti. Non abbiamo la possibilità di entrare nei domicili informatici né nelle caselle postali degli utenti internet, senza autorizzazione della magistratura". Una cosa che tra l'altro, conclude Apruzzese, "non ci passa neanche per la testa, visto che sarebbe un reato e non sarebbe utilizzabile come fonte di prova".

ringraziamo Pino Bruno per la collaborazione