Lo Stato dovrebbe rientrare nel capitale Telecom?

Francesco Chirichigno, Vito Gamberale, Umberto de Julio, Girolamo Di Genova, ex dirigenti storici di Telecom sostengono che lo Stato (con CdP) dovrebbe rientrare nel capitale di TIM.

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a cura di Dario D'Elia

Lo Stato dovrebbe rientrare nel capitale Telecom? La domanda è complessa quindi dovrebbe richiedere una riflessione approfondita perché è legata a doppio nodo con il destino digitale di questo paese.

Meditare sui destini dell'ex-monopolista potrebbe essere peggio una seduta di autocoscienza fra analfabeti funzionali, però non ci si può sottrarre. Non in questo momento. Non abbiamo digerito le OPA di Roberto Colaninno e di Marco Tronchetti Provera, che hanno segnato la storia finanziaria dell'azienda e anche quella dei servizi broadband e ultra-broadband nel paese, quindi sarà bene attivare i sensi prima di buttar giù il prossimo boccone.

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I cosiddetti "Pascale boys", i giovani che collaborarono con l'AD Ernesto Pascale - sì, proprio quello del progetto Socrate - oggi pensano che Telecom potrebbe ritornare grande se lo Stato favorisse l'ingresso della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di TIM.

Francesco Chirichigno (AD dal 1994 al 1997), Vito Gamberale (AD di SIP, DG di Telecom e AD di Tim tra il 1991 e il 1998), Umberto de Julio (AD e DG di Tim nel 1998), Girolamo Di Genova (dirigente dal 1966 al 1998) forse non saranno più "boys" ma stamane sulle pagine del Corriere della Sera in una lettera aperta sono andati dritti al punto. Lo Stato deve rientrare. "Sarebbe il miglior suggello ad un recupero di ruolo e di attiva collaborazione e consentirebbe di accelerare lo sviluppo della Società in coerenza con la politica industriale del Paese".

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La questione di fondo è che Telecom ha una "capillare infrastruttura di rete, che raggiunge ogni angolo del territorio nazionale" e Sparkle è di fatto "un nodo dello smistamento e della protezione dell'informazione globale tra l'Africa e l'Asia da una parte e il Mondo Occidentale dall'altra".

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Non di meno bisogna considerare le competenze tecniche. È inutile girarci intorno: Telecom, tra tecnici e ingegneri, ha un know-how sul fronte reti che poche altre realtà possiedono. E quindi, sostengono gli ex, invece di parlare di golden power, scorporo o altre strategie bisognerebbe "preservare la insostituibile strategicità del sistema delle Tlc italiane, così come accade in tutti i Paesi avanzati, a cominciare da quelli dell'Unione Europea".

E la soluzione non può che essere, a loro parere, una sorta di ritorno alle origini.

logo tim

Al netto delle simpatie e dei condizionamenti di pancia, la proposta dei "Pascale boys" è seria e allettante. In fondo in Italia esiste un'unica rete e qualche promettente embrione. Open Fiber, la creatura di Enel e CdP, ha dimostrato in poco tempo cosa avremmo potuto già avere oggi senza le "due sciagurate Opa", come le chiamano persino gli ex AD di Telecom. Altro che nord-Europa. Il progetto Socrate in 22 anni avrebbe portato la fibra in ogni comune e oggi staremmo disquisendo sui 10 Gbps e non su come spremere il rame.

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Però nello sviluppo tecnologico il "timing" è fondamentale e oggi come allora bisognerebbe valutare attentamente se ci sono le condizioni per un'idea "carsica" come quella della parziale statalizzazione. Enel ha già detto no a un'eventuale fusione e questo vuol dire rischiare di avere due reti nazionali. Per altro in serratissima concorrenza.

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In sintesi. Si potrebbero lasciare le cose come stanno e lasciare che il mercato faccia il suo corso. Sapendo già che il non-governo dei progetti strategici è destinato a fallire. Ne abbiamo avuto riprova con la stessa storia della privatizzazione di Telecom. Oppure si può decidere di intervenire ma con progettualità a medio o lungo termine, riconoscendo il valore di un'azienda che rappresenta le telecomunicazioni in Italia. Al netto delle simpatie, degli errori commessi e di cosa dice la pancia. Che è sempre mal consigliera.