London School of Economics: la pirateria non è il male!

Il rapporto "Copyright & Creation. A Case for Promoting Inclusive Online Sharing" sconfessa le tesi dell'industria dell'intrattenimento sulla pirateria.

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a cura di Dario D'Elia

La pirateria non è il male assoluto per l'industria cinematografica e musicale. Un recente studio della rinomata London School of Economics and Political Science entra con piede a martello sulla questione pirateria, azzoppando le tesi perorate dalle lobby industriali negli ultimi 13 anni. Dalla nascita di Napster a oggi la politica si è bevuta i numeri che le aziende del settore intrattenimento hanno confezionato per giustificare la crisi delle vendite.

Gli accademici di Londra hanno scoperto che tutti i settori coinvolti non se la passano così male; anzi, ormai vi sono dati che confermano quanto il file-sharing stia contribuendo alla crescite delle industrie creative.  

Fatturato industria musicale

"Contrariamente a quanto denuncia l'industria, il settore della musica non è in declino terminale, ma sta tenendo e mostra ricchi profitti. Il fatturato delle vendite digitali, i servizi ad abbonamento e le performance live e in streaming compensano il declino del fatturato generato dalle vendite dei CD e dischi", sostiene Bart Cammaerts, LSE Senior Lecturer e autore del rapporto.

Il Governo del Regno Unito a questo punto, secondo LSE, dovrebbe guardare oltre l'azione di lobbying e pensare al futuro del copyright. La lotta è giusta nei confronti di chi fa business con la pirateria, ma non contro il grande pubblico.

"Sebbene la Motion Picture Association of America’s (MPAA) denunci che la pirateria stia devastando l'industria del cinema, Hollywood ha ottenuto un record di fatturato al box office pari a 35 miliardi di dollari nel 2012, il 6% in più rispetto al 2012", si legge in Copyright & Creation. A Case for Promoting Inclusive Online Sharing.

Lo stesso vale per la musica che accusa un declino nelle vendite dei CD dal 2000 a oggi, ma recupera con concerti, vendite digitali e diritti sulle pubblicazioni. Per altro non ci sono dati che confermino che la contrazione sia dovuta prevalentemente alla pirateria.

Il file-sharing ad esempio, che è sempre stato additato come il peggiore dei mali, ha aperto la strada a nuovi modelli di business e sistemi di promozione. Il servizio SoundCloud che consente ad artisti di condividere il proprio lavoro con licenze Creative Commons è diventato uno strumento creativo dal grande potenziale. YouTube stesso consente di dare grande visibilità alle novità. E poi come dimenticare tutte le analisi che riconoscono ai file-sharer di essere più spendaccioni in musica degli altri?

Oggi il regime applicato alla salvaguardia del copyright non favorisce le potenzialità che si nascondono dietro allo sharing. I ricercatori della London School of Economics and Political Science in ultima analisi sperano che il Digital Economy Act possa evolversi nell'interesse sia dei detentori di copyright che del pubblico.

"Uso equo" e "copia privata" dovrebbero essere potenziati, non trasformarsi in trappole o strumenti per recintare la libertà dei consumatori.