Medioevo e Rinascimento, i padri italiani della crittografia

La società umana trova tra i propri fondamenti il segreto, cioè l'informazione che alcuni controllano ed è esclusa ad altri. Per assicurarsi che questa colonna non crolli abbiamo inventato mezzi sempre più sofisticati per rendere i nostri messaggi illeggibili agli altri.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Medioevo e Rinascimento, i padri italiani della crittografia

Verso l'anno 1.000 comparvero i primi cifrari "moderni", complesse liste di parole e tabelle da usare per codificare e decodificare un messaggio. Verso la fine di questo periodo storico l'uso della crittografia è piuttosto diffuso per le comunicazioni diplomatiche. Sono stati introdotti simboli di fantasia al posto di numeri e lettere, un discreto livello di variabilità (più simboli per una stessa lettera) e l'uso delle nulle (simboli senza una corrispondenza).

In questo periodo viene introdotto il concetto di chiave, più o meno la password come la conosciamo oggi. Una parola segreta necessaria per decodificare il messaggio.

Leon Battista Alberti

Pare che si debba a G. Cardano l'invenzione della cifratura con polifoni, alla fine del XV secolo. L'idea è che un segno cifrante possa avere più di un significato. Questo rende il sistema più complesso e quindi più difficile da decifrare, molto resistente all'analisi statistica, ma anche più laborioso: codificare a mano un messaggio è una vera faticaccia.

Nel 1466 Leon Battista Alberti pubblica il suo De Cifris, un vero e proprio trattato sulla crittografia. Qui propone l'uso del suo doppio disco: due anelli, quello esterno con 24 fra lettere maiuscole e numeri, quello interno con sole lettere minuscole. Il disco interno è mobile, mentre quello esterno è fisso. Mittente e destinatario devono possedere due dischi identici, e accordarsi sul metodo di cifratura da usare (ne sono possibili diversi, più o meno complessi).

Quasi un secolo dopo, nel 1563, Giovanni Battista Della Porta pubblica un nuovo trattato, De Furtivis literarum notis - vulgo de ziferis. Il suo cifrario più noto è la "Tavola Della Porta". Propone un livello di complessità molto alto, con una chiave di decodifica lunga e complessa. Se la tabella di partenza è abbastanza disordinata e la chiave sufficientemente lunga, la decodifica (a mano) è pressoché impossibile per chi non ha la chiave. Il Della Porta ha probabilmente plagiato, o si è almeno ispirato, a Bellaso, che in un testo del 1553 aveva pubblicato tavole di cifrature molto simili.

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Cifrario di Vigenere

Ancora più importante, forse, il lavoro di Blaise de Vigenere, che nel 1586 pubblica il codice di cifratura che poi prende il suo nome. È un codice di sostituzione polialfabetico più semplice rispetto a quelli proposti dagli italiani, e lo si può vedere come un'evoluzione del codice di Cesare. Nonostante la sua semplicità si dimostrò resistente: fu considerato inattaccabile per secoli, fino alla comparsa del metodo Kasiski, dal nome del generale prussiano che nel 1863 trovò una debolezza nel cifrario Vigenere - ma intanto erano passati tre secoli. Il metodo di Vigenere è comunque ancora molto valido, sempre che si usi una chiave di lunghezza comparabile a quella del testo da codificare.