Microsoft e HP eludono miliardi di dollari di tasse

Il Subcommittee on Investigations del Senato statunitense ha reso noto un documento che conferma l'elusione di miliardi di dollari da parte di Microsoft e HP. La legge non viene violata ma la gestione fiscale creativa inizia a essere un problema.

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a cura di Dario D'Elia

Microsoft e HP sono accusate di eludere miliardi di dollari di tasse negli Stati Uniti. Il Subcommittee on Investigations del Senato ieri ha organizzato un'audizione a cui hanno partecipato esperti fiscali, alti dirigenti dei due colossi IT, nonché il consigliere capo dell'Agenzia delle Entrare (IRS). Al centro del confronto le incredibili manovre internazionali di elusione fiscale adottate dalle corporation multinazionali.

La memoria introduttiva curata dal senatore democratico Carl Levin ha svelato che Microsoft giocando con le transazioni fra le sue sussidiarie di Puerto Rico, Irlanda, Singapore e Bermuda è riuscita a risparmiare 6,5 miliardi di dollari di tasse. HP ha fatto qualcosa di analogo ma sfruttando una serie di prestiti a breve termine che hanno consentito di alimentare il suo contante offshore per operazioni domestiche.

Tasse!

Insomma, è stato ribadito che non si può riscontrare alcuna violazione delle legge ma certamente una gestione fiscale "molto dubbia". "Aumenta i vostri profitti e riduce le vostre tasse, ma produce un grande costo per gli Stati Uniti d'America", ha sottolineato Levin rivolgendosi al vice presidente Microsoft Bill Sample. Il dibattito ovviamente ha fatto emergere visioni diverse. Il senatore repubblicano Tom Coburn, non a caso, sostiene che si tratti di "evasione fiscale correttamente regolamentata".

La questione di fondo però non cambia: il rapporto del Subcommittee on Investigations del Senato ha evidenziato "i sintomi di un problema". E infatti il dirigente Microsoft ha ribadito il pieno rispetto delle norme fiscali straniere e statunitensi, sottolineato che ciò non esclude che queste non possano essere migliorate.

Il meccanismo comunque va avanti da anni. Le società statunitensi pagano le tasse su quanto guadagnano nel resto del mondo. Ricevono però dei crediti dovuti alle passività generate dal pagamento delle tasse straniere, e non devono nulla al fisco fino quando non portano i soldi a casa.  La differenza tra il prelievo fiscale statunitense (circa il 35%) e quello più basso estero incentiva la contabilità degli utili extra nazionali. Considerata l'intangibilità di determinati asset, come ad esempio i brevetti, è sufficiente transare tra le sussidiarie per evitare ogni gabella.

Anche in Europa il tema è caldissimo: Francia e Italia si stanno muovendo infatti per istituire una tassa digitale che colpisca i colossi statunitensi. "Scelgono le proprie sedi giuridiche europee in Stati a basso tasso di fiscalità realizzando allo stesso tempo una quota significativa del loro fatturato nei cinque Stati europei più popolati'', aveva spiegato a luglio il senatore francese Philippe Marini, consigliere per le questioni fiscali dell'ex presidente Sarkozy.