Per fare computer più veloci ci vuole un virus. Uno biologico

La ricerca suggerisce la possibilità di realizzare memoria a cambiamento di fase in modo stabile e meno complesso.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e della Singapore University of Technology and Design hanno sviluppato un nuovo sistema per la produzione di sistemi elettronici quasi privi di lag. La soluzione che hanno trovato fonde il silicio con la biologia perché prevede l'uso di un virus. Non un virus per computer, ma uno nel senso tradizionale del termine.

Il virus utilizzato si chiama M13, ed è un batteriofago che sembra utile per la realizzazione di memoria a cambiamento di fase (phase-change memory). Questo tipo di memoria è particolarmente veloce, e permette effettivamente di ridurre i tempi di attesa che si verificano quando un'informazione "viaggia" all'interno di un sistema, per esempio nel tragitto storage-RAM-CPU.

Il passaggio è lento (relativamente) perché la RAM è volatile, e trattiene le informazioni solo finché è alimentata. Un hard disk o un SSD sono più lenti, ma possono conservare i dati anche in assenza di energia. Entrambi i componenti sono dunque necessari, ma il loro utilizzo implica una riduzione nella velocità di elaborazione.

La memoria a cambiamento di fase permette appunto di eliminare il passaggio da RAM a storage, realizzando un tipo di memoria che può svolgere entrambe le funzioni. Così facendo i ritardi passano da millisecondi a nanosecondi.

Per realizzare memorie di questo tipo una buona soluzione è l'antimoniuro di gallio. Un materiale binario (non è l'unico) che però aumenta i consumi e diventa instabile intorno ai 346 gradi. Nella fase di produzione si raggiungono temperature anche maggiori, il che finora è stato un ostacolo pressoché insormontabile. Il problema è lo stesso con l'ossido di germanio-piombo, mostrato nell'immagine.

Ed è qui che entra in gioco il virus M13, che si usa appunto per estrarre le particelle di antimoniuro di gallio e poi ricomporle in nanofili, mantenendo allo stesso tempo temperature inferiori.

Ci vorranno ancora anni di ricerca, probabilmente, prima che questa tecnica possa farsi strada nell'elettronica che usiamo tutti i giorni. Ma si tratta comunque di una scoperta notevole, che lascia sperare in sistemi elettronici notevolmente più veloci, dallo smartphone al supercomputer.

Oggi come oggi per avere un computer veloce non si può fare a meno di un SSD con interfaccia PCIe. Come il Samsung 970 EVO.