Plagio

Pubblicare l'opera di qualcun altro come se fosse la nostra, o la fotografia di una persona che non ci ha dato il permesso. Questa e altre azioni simili sono comuni su Facebook e altri social network, ma non per questo sono lecite. Le responsabilità legali sono a carico dell'utente.

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a cura di Tom's Hardware

È da tenere bene a mente che soltanto l'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare una propria opera. Nel condividere o pubblicare frasi, articoli o testi che sono stati prodotti da altri bisogna sempre ricordarsi di citare l'autore, in caso contrario si rischia di integrare gli estremi del plagio.

Il plagio consiste nella parziale o totale attribuzione di un'opera o nella mancata citazione delle fonti; si verifica per esempio quando il testo viene copiato ed incollato senza i dovuti riferimenti al vero autore ed al testo da cui sono tratti.

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Foto: leszegglasner/Depositphotos

Dunque, oltre a ragionevoli motivazioni di carattere etico che dovrebbero spingere a non appropriarsi di un'opera altrui, pubblicare una frase o un articolo eliminando il nome del reale autore e facendoli propri costituisce un comportamento che viene punito con pesanti sanzioni indicate dalla legge sul diritto d'autore: pene pecuniarie indicate al primo comma dell'articolo 171 o, in caso di condotte aggravate, sanzioni di carattere penale indicate nei successivi articoli.

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Per evitare di incorrere in questo tipo di sanzioni si possono usare vari rimedi, come una formattazione differente del testo (es. virgolettato e corsivo) oppure utilizzando le specifiche funzioni di condivisione previste dai vari social.

Diffamazione

La diffamazione, prevista all'articolo 595 c.p., consiste nella lesione della reputazione altrui quando si comunica con più persone; il soggetto offeso non deve essere presente altrimenti si ricadrebbe nell'ingiuria, ora depenalizzata.

È semplice intuire come quest'ipotesi possa verificarsi nel mondo dei social dove circola una moltitudine di foto e video ed in cui è possibile pubblicare qualsiasi tipo di pensiero: l'immagine di un soggetto di fronte agli altri può essere facilmente lesa, ad esempio, attraverso post offensivi o con la messa in circolazione di foto o video compromettenti - a tal proposito ci sono purtroppo diversi esempi di cronaca recente, anche drammatici.

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Foto: Premium_Shots/Depositphotos

Tenendo conto, inoltre della grande potenza diffusiva dei social, la Cassazione ha in più occasioni (es. con sent.  24431/2015) ravvisato la sussistenza dell'aggravante indicata al terzo comma dell'articolo in questione: si parla infatti di diffamazione a mezzo stampa quando un comportamento diffamatorio è posto in essere tramite il web. La pena prevista (e aggravata) consiste nella reclusione da sei mesi a tre anni o in una multa non inferiore a 516 euro.

La ratio di questo orientamento è da rinvenirsi nel fatto che, postando un commento offensivo sulla propria bacheca virtuale (o su quella di altri), il messaggio può potenzialmente raggiungere un numero indefinito di persone (da qui la fattispecie aggravata).

Per le stesse motivazioni lo stesso reato può essere integrato anche nei casi in cui vengano condivise foto o video che possono allo stesso modo essere lesivi della reputazione di un determinato soggetto. Anche in questi casi il contenuto deve essere portato a conoscenza di almeno due soggetti, dai quali deve essere esclusa la persona offesa, e si deve essere consapevoli della potenziale lesività del contenuto.

Caso differente può invece essere rappresentato dalla semplice condivisione di un pensiero offensivo senza che questo venga amplificato con ulteriori frasi diffamatorie. Non è detto infatti che condividere equivalga ad approvare, e bisogna contemperare in tutti i casi il diritto della persona offesa con la libertà di espressione di pensiero tutelata dall'art. 21 della Costituzione. Nella sent n. 3981/2016 la Suprema Corte ha indicato un comportamento di tal tipo come non penalmente perseguibile.Incerta e discussa resta ancora la situazione dei "mi piace" che secondo parte della giurisprudenza sono da considerare alla stregua di questo ultimo orientamento, mentre per altri sono idonei ad integrare il reato di diffamazione.