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a cura di Redazione Diritto dell’Informatica

Il 4 febbraio 2020 è stata pubblicata la sentenza del Consiglio di Stato sul tema delle "bollette a 28 giorni", epilogo di una vicenda che ha interessato le maggiori compagnie telefoniche nazionali, da un lato, e i consumatori, dall’altro. In realtà, il dispositivo della sentenza era già stato pubblicato nel luglio 2019, ma adesso si conoscono anche le motivazioni, espresse con parole dure e di ferma condanna nei confronti degli operatori telefonici.

I consumatori più attenti, certamente, ricorderanno come abbia avuto inizio la vicenda: nei primi mesi del 2016, i principali gestori telefonici, chi prima chi dopo, hanno deciso di fissare il rinnovo delle offerte telefoniche ogni 28 giorni, anziché ogni mese. Tale escamotage rappresenta un modo, tanto semplice quanto subdolo, per aumentare il costo complessivo di un determinato piano tariffario. Facendo "scadere" l’offerta ogni 4 settimane, infatti, le mensilità da pagare nell’arco di un anno passano da 12 a 13.

Ben inteso, ciò che si contesta non è l’aumento, legittimo, del servizio offerto, ma il modo attraverso il quale esso è stato perseguito.

Ebbene, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 00879/2020, ha rigettato il ricorso presentato da uno dei gestori telefonici coinvolti contro la precedente decisione del Tar sull’argomento, già chiamato a giudicare una delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, AGCOM.

Questa Autorità, infatti, è quella che aveva imposto ai colossi delle telecomunicazioni di restituire agli utenti, a prescindere dalla presenza di una loro richiesta in tal senso, quanto percepito dalla modifica del periodo di fatturazione.

L’antefatto

L’AGCOM aveva stabilito chiaramente, con delibera n.121/17/CONS del marzo 2017, che "Per la telefonia fissa la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione deve essere su base mensile o suoi multipli", mentre per quella mobile la "cadenza non può essere inferiore a quattro settimane". Nel caso di offerte che coinvolgono reti fisse e mobili, occorre fare riferimento alla cadenza della telefonia fissa.

L’Autorità aveva, inoltre, indicato un termine, non superiore a 90 giorni, successivo alla pubblicazione della citata delibera, entro il quale gli operatori telefonici avrebbero dovuto conformarsi a quanto disposto, adottando tutte le misure tecniche e giuridiche del caso.

Il termine designato, tuttavia, è spirato senza che alcuna delle compagnie telefoniche interessate prendesse provvedimenti.

L’Autorità si era vista costretta, quindi, ad emanare ulteriori 4 delibere, una per ogni operatore coinvolto, con le quali applicava ai soggetti inadempienti una sanzione amministrativa pecuniaria di 1,16 milioni di euro. Con queste delibere, inoltre, l’AGCOM imponeva agli operatori non solo di ripristinare il ciclo di fatturazione con cadenza mensile, ma anche di stornare agli utenti gli importi corrispondenti addebitati nel periodo compreso tra la scadenza del termine di 90 giorni sopra citato e il momento in cui gli operatori si fossero effettivamente conformati a quanto statuito dall’Autorità.

Secondo l’AGCOM, infatti, il rinnovo, e quindi la fatturazione, su base mensile permette all’utente di avere un chiaro riferimento temporale, in base al quale poter comprendere e valutare le offerte disponibili, così da poter scegliere in maniera consapevole. Al contrario, e di conseguenza, la mancanza di un parametro temporale certo minerebbe la tutela effettiva degli utenti, sia in termini di trasparenza che, soprattutto, di comparabilità delle informazioni relative al prezzo effettivo del piano tariffario, del controllo della spesa e dei consumi.

Sentenza del Consiglio di Stato

Come anticipato in premessa, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso proposto da una delle compagnie telefoniche contro una precedente sentenza del Tar del Lazio, intervenuto a valutare la legittimità delle delibere adottate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.

Il Tribunale Amministrativo, peraltro, aveva annullato la sanzione amministrativa di 1,16 milioni di euro nei confronti degli operatori, confermando, però, l’obbligo di ristorare i consumatori previsto dall’AGCOM.

La VI sezione del Consiglio di Stato, da ultimo, rigettando il ricorso della compagnia telefonica, ha definito "eccentrica" e "sleale" la scelta di un improvviso aumento tariffario, ottenuto con la previsione di un rinnovo ogni quattro settimane.

Eccentrica per due ordini di ragioni: innanzitutto, perché appare difficile comprendere la scelta di "una cadenza temporale estranea, se non contraria agli usi commerciali"; in secondo luogo, perché tutte le compagnie telefoniche, e non solo la ricorrente, avrebbero, di fatto, cercato di eludere le disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche in materia di preavviso e trasparenza.

Più specificamente, i Giudici hanno ritenuto che siano stati violati:

  • l’art. 70, co. 4, II per., secondo cui la modifica delle condizioni contrattuali deve essere comunicata al contraente con un preavviso non inferiore a 30 giorni e deve contenere le informazioni complete circa l’esercizio del diritto di recesso;
  • l’art. 71, co. 1, secondo cui le imprese che offrono servizi di telecomunicazione sono tenute a pubblicare "informazioni trasparenti, comparabili, adeguate e aggiornate in merito ai prezzi e alle tariffe vigenti".

In più, la condotta oggetto di esame sarebbe risultata sleale, secondo le toghe, nei confronti dei consumatori, perché ritengono che non sia stato dato il giusto risalto alla differenza che intercorre tra la fatturazione ogni quattro settimane e quella mensile.

Difatti, secondo il Consiglio di Stato, "la clausola sulla nuova cadenza di fatturazione sembra impedire o, comunque, rende più difficile all’utente rappresentare a se stesso e con la dovuta immediatezza come, attraverso la contrazione della periodicità di tariffazione, il gestore telefonico percepisce, nel corso di un anno, il corrispettivo per 13, anziché per 12 volte".

Se ciò non bastasse, ulteriore importanza in questa decisione è stata attribuita al fatto che la scelta di passare ad un regime di fatturazione a 28 giorni è stata presa quasi contestualmente dalle principali compagnie telefoniche che si spartiscono il mercato italiano. In tal modo, l’esercizio del diritto di recesso è stato fortemente limitato, venendo quasi a mancare, di fatto, alternative su cui poter convergere.

Conclusioni

Dalla lettura delle motivazioni della sentenza qui analizzata si evince, quindi, che il Consiglio di Stato ha valutato il comportamento delle società di telecomunicazioni coinvolte in questa vicenda manchevole di trasparenza e della correttezza necessarie nei confronti dei consumatori.

Peraltro, se si considera che proprio in questi giorni anche l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) ha sanzionato gli stessi soggetti, riscontrando la sussistenza di una loro intesa anticoncorrenziale relativa alla rimodulazione dei prezzi nel ritorno alla fatturazione mensile, si potrebbe pensare che la lealtà nei confronti dei consumatori non sia la principale preoccupazione nei consigli d’amministrazione delle compagnie telefoniche. Per dirla altrimenti, stando a quest’ultima pronuncia dell’AGCM, gli stessi operatori che avevano optato per la fatturazione quadrisettimanale, quando si sono visti costretti a ritornare al regime di fatturazione mensile, avrebbero coordinato le loro strategie commerciali, al fine di ottenere degli introiti maggiori, per definire i prezzi delle nuove offerte (con fatturazione mensile) immesse sul mercato.

In attesa di eventuali sviluppi relativi a quest’ultimo episodio, resta fermo, anche alla luce della netta posizione assunta dal Consiglio di Stato, che i consumatori non dovranno presentare alcun reclamo o richiesta specifica per ottenere quanto dovuto dagli operatori telefonici oggetto delle decisioni dell’AGCOM del 2017: le compagnie dovranno dunque provvedere automaticamente ed autonomamente a rimborsare le eccedenze illegittimamente percepite.