È un mondo di recensori, commentatori e critici. C'è chi racconta con dovizia di particolari la cella della prigione in cui è finito per una notte, come il britannico Christian Willoughby e chi analizza e compara peni, come l'avvocata statunitense Madeleine Holden. Citando Humphrey Bogart ne "L'ultima minaccia" potremmo dire che è il web, bellezza, e tu non puoi farci niente, niente. Pensavamo di essere soltanto noi italiani un popolo di ministri dell'economia, politologi e commissari tecnici della Nazionale di calcio. Ebbene no, non abbiamo più (neanche) questo primato.
Il mondo digitale ha dischiuso le cateratte del giudizio universale (con la g e la u minuscole) e i social hanno amplificato l'effetto. C'è lo scienziato pluridecorato che scrive di Fisica quantistica e giù, nelle pagine dei commenti, arriva il signor nessuno a disquisire, puntualizzare, contestare. C'è il grande regista cinematografico che racconta il percorso seguito per girare l'ultimo film da Oscar ed ecco che si scatena la caterva di sapide osservazioni dei critici improvvisati. C'è il giornalista tecnologo che, dopo test lunghi e approfonditi, descrive un prodotto aggiungendo le sue considerazioni e, apriti cielo, comincia il diluvio dei "veri esperti", con la sequela di "tu non capisci un tubo" e "servo della multinazionale" che quel prodotto lo ha fatto.
Non c'è storia, il vaso di Pandora è stato scoperchiato e Umberto Eco, che ci aveva avvertiti, ormai non c'è più. Almeno lui, nel paradiso dei grandi, sta al sicuro. Lì troll, recensori e tuttologi sono stati bannati.
Cosa aggiungere, se non la speranza che i commenti non confermino il contenuto.