Scuola digitale, anche in Italia abbiamo capito come farla

Il recente decreto istruzione parla di contenuti autoprodotti, Creative Commons, Open Source e condivisione.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Giovedì scorso è stato approvato, diventando così Legge dello Stato, al Senato il Decreto Istruzione (PDF), che tra le tante cose contiene anche molti elementi sulla digitalizzazione della scuola italiana. Si parla infatti di liberalizzazione dei contenuti didattici, di materiali autoprodotti sotto licenza Creative Commons e condivisi su piattaforme aperte.

Al comma 2-bis in particolare si legge che "gli istituti scolastici possono creare il materiale didattico digitale per specifiche discipline da utilizzare come libri di testo […]. L'elaborazione di ogni prodotto è affidata a un docente supervisore che garantisce […] la qualità dell'opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curricolare". E continua specificando che l'opera "è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite". I materiali prodotti inoltre saranno trasmessi al ministero, che si farà carico di distribuirli a livello nazionale.

Dovrebbero essere tutti così

Più avanti poi la legge specifica che "lo Stato promuove lo sviluppo della cultura digitale", e si esprime una chiara preferenza (non obbligo) in favore delle "piattaforme aperte che prevedano la possibilità di azioni collaborative tra docenti, studenti ed editori". Possono sembrare piccole cose, ma le modifiche apportate all'ultimo momento possono rappresentare una vera e propria rivoluzione per la scuola italiana.

Questo decreto infatti porta avanti un percorso avviato dal Ministro Profumo e che ha come fulcro il concetto di apertura del Sapere stesso. Un'idea che rimanda a una complessità nella didattica a cui abbiamo accennato in passato (Scuola digitale, non basta un tablet per insegnare), e che si contrappone alla chiusura (e agli alti costi) rappresentata dall'editoria scolastica tradizionale.

Certo, i nostri legislatori negli ultimi anni hanno sempre tenuto in considerazione gli interessi economici dei grandi editori storici. Ma è vero anche che siamo di fronte a quello che sembra un punto di non ritorno, in parte confermato anche dal convegno su questi temi che si è tenuto sabato scorso, alla presenza del Ministro Carrozza, il cui titolo era appunto "Uno, nessuno, centomila. Libri di testo e risorse digitali per la scuola italiana in Europa".

Insomma, materiali autoprodotti da insegnanti e studenti, condivisione degli stessi con licenza Creative Commons, creazione di piattaforme per lo sviluppo di attività collaborative. Si va in altre parole verso "materiali didattici digitali in formati e licenze open, non copyright, raccolti in repositories nazionali o globali, caratterizzati dai fattori di personalizzazione, interazione e collaborazione", ricorda su Facebook Agostino Quadrino, fondatore e amministratore della casa editrice Garamond, che da anni rema controcorrente nel mondo scolastico.

L'idea di superare il libro di testo sembra quindi portatrice di freschezza molto più di quanto si potrebbe pensare, e di certo ciò che è successo in questi giorni autorizza un cauto ottimismo per il futuro dei nostri studenti. Certo, non avremo domani piattaforme come Coursera, OpenCourseware del MIT o la Kahn Academy, ma con questo decreto si sono poste basi importanti. E soprattutto si è chiarito un concetto: non è con ebook e tablet che si fa la rivoluzione digitale a scuola, ma cambiando i paradigmi stessi della didattica. Questo è un primo passo, e speriamo che ce ne siano altri.