Seme Selvaggio: l'Africa, le donne, la nuova fantascienza

La fantascienza dovrebbe essere un genere aperto alle novità e alle differenze ma non è sempre così. Ed ecco perché a quasi quarant'anni dalla sua pubblicazione Wild Seed di Octavia Butler è ancora un faro di novità nella letteratura fantastica.

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a cura di Giulia Abbate

retrocultNota del curatore: Le storie ci raccontano chi siamo, come viviamo, cosa facciamo, come guardiamo gli altri e come ci vedono loro. Ed è per questo che romanzi come Seme Selvaggio sono punti fermi nella storia della cultura mondiale. Un po', forse molto, perché è tra i fondatori di un genere. Butler è tra gli autori africani della prima ora, quelli che con Mia Couto e pochi altri hanno raccontato non solo un continente, ma un altro modo di vedere il mondo. E c'è di più, naturalmente, ci sono tutti i significati e i temi - primo fra tutti il Femminile - che l'autrice ha messo in questo romanzo.

E poi esistono i lettori. Tribù sempre balcanizzata, ma quando si parla di fantasy e fantascienza gli scontri intestini si fanno forse più sanguinari. Tutti leggiamo, tutti amiamo le storie, ma sempre ben attenti a separarci in gruppi autodefiniti, replicando all'infinito meccanismi di aggregazione tribale che fingiamo di aver dimenticato.

Ci son le storie e ci sono i lettori, o forse no. Ognuno di noi è una moltitudine di storie, fatevi voi i conti visto che siamo quasi otto miliardi. E c'è una barricata: da una parte le storie "giuste" e dall'altra tutto il resto, da una parte le storie che raccontano il mondo dei vincitori, degli editori, degli europei e degli statunitensi.

Poi a un certo punto succede qualcosa di nuovo, qualcosa che arriva dalla periferia (culturale o geografica) e che in qualche modo riesce a farsi strada. Il seme selvaggio, appunto, inizia timidamente a germogliare. Crescerà lento e inesorabile, offrendo frutti saporiti a tutti coloro che vorranno assaporarli.

Valerio Porcu