Sette esopianeti, cosa ne pensano gli esperti

Sulla scoperta dei sette esopianeti del sistema TRAPPIST-1 è stato detto tanto ma non tutto, e alcune informazioni non sono proprio esatte. Facciamo il punto con gli esperti consulenti e autori di Tom's Hardware.

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a cura di Elena Re Garbagnati

La scoperta dei sette esopianeti nel sistema TRAPPIST-1 ha coalizzato talmente tanto l'attenzione mediatica che le domande si sono moltiplicate online e nella vita reale. Persino chi non è mai stato appassionato di Spazio ha iniziato a fare domande. La stragrande maggioranza delle informazioni riguardo a questa affascinante notizia è contenuta nel nostro articolo di annuncio. La domanda più popolare di tutte si è meritata un articolo a parte: quanto ci vuole per arrivare sui sette esopianeti?, così come lo strumento tecnologico protagonista di questa scoperta, il telescopio spaziale Spitzer.

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Tuttavia focalizzare l'attenzione sui particolari davvero importanti non è semplice, per questo abbiamo chiesto a tre esperti la loro opinione riguardo all'annuncio della NASA, e l'accento sugli aspetti che secondo loro sono più importanti di altri - e perché.

L'astrofisico e cosmologo Francesco Haardt, Professore di Astrofisica e Cosmologia del Dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia dell'Università degli Studi dell'Insubria, mette l'accento innanzi tutto sul fatto che questa scoperta è "il punto finale di una lunga ricerca portata avanti da un team internazionale di astronomi, che ha sfruttato telescopi sia europei che americani".

Infatti è bene infatti precisare che nonostante a tenere l'annuncio sia stata l'Agenzia Spaziale statunitense, la scoperta è stata fatta da un team internazionale guidato da Michaël Gillon dell'Istituto di ricerca Space sciences, technologies and astrophysics research in Belgio, ed è frutto del lavoro di strumenti quali il TRAPPIST-South all'Osservatorio di La Silla e il Very Large Telescope al Paranal (entrambi dell'ESO, European Southern Observatory), oltre al telescopio spaziale Spitzer.

Michaël Gillon

Il professore Haardt ricorda poi le potenziali conseguenze scientifiche di questa novità: "la scoperta di pianeti al di fuori del nostro Sistema Solare, i cosiddetti esopianeti, risale ad oltre venti anni fa; in due decadi sono stati fatti progressi enormi, e altrettanti se ne aspettano nei prossimi dieci anni. In questo contesto, la scoperta del sistema Trappist-1 è molto interessante per vari motivi. In primo luogo, dimostra che stelle più piccole e meno luminose del nostro Sole sono degli ottimi candidati per ospitare complessi sistemi planetari. Questo fatto moltiplica la probabilità che esistano pianeti con condizioni favorevoli alla vita, e la nostra capacità di studiarli".

L'altro dato rilevante è che "quando diciamo 'condizioni favorevoli alla vita' intendiamo pianeti rocciosi (come la terra o Venere, e diversi dai 'giganti gassosi' quali, ad esempio, Giove), e che si trovano a una distanza dalla loro stella tale da permettere, almeno in linea di principio, l'esistenza di acqua allo stato liquido. Dei sette pianeti scoperti nel sistema Trappist-1 (un record), ben tre sono nella 'fascia di abitabilità'. La scoperta di questo sistema planetario inoltre apre la strada a ricerche molto avanzate, ad esempio a come studiare la composizione dell'atmosfera di questi pianeti, caratteristica ovviamente fondamentale per poter ipotizzare l'esistenza di forme di vita".

Rappresentazione artistica di una nana rossa

Rappresentazione artistica di una nana rossa

Quanto all'opportunità di visitarli, infine, Haardt ammette che "ovviamente dietro al nostro sforzo alla ricerca di pianeti gemelli della Terra esiste, anche, l'idea che un giorno tali sistemi possano essere visitati, o addirittura colonizzati. Trappist-1 si trova a circa 40 anni luce, una distanza piccola in termini astronomici ma enorme per la nostra attuale tecnologia. In un futuro, non prossimo ma neppure remoto, però tali viaggi potrebbero essere possibili, magari in una forma molto diversa da quello che abbiamo in mente oggi".

Mosé Giordano, dottorando in astrofisica all'Università del Salento, consulente e autore di Tom's Hardware e autore di pubblicazioni su Astrophysical Journal, MNRAS e altre prestigiose riviste specializzate, è cauto e ricorda che "la scoperta di un sistema planetario costituito da ben sette pianeti rocciosi simili alla Terra, peraltro relativamente vicini a noi, è sicuramente molto interessante. Tuttavia rimane ancora da chiarire se almeno alcuni di questi pianeti siano effettivamente adatti a ospitare la vita, anche per via delle radiazioni che ricevono dalla stella.

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Gli autori della scoperta fanno notare che probabilmente tutti questi pianeti hanno rotazione sincrona, cioè mostrano sempre la stessa faccia verso la propria stella (proprio come fa la Luna con la Terra), il che li potrebbe rendere inospitali, dato che avrebbero un emisfero molto caldo e uno molto freddo e non ci sarebbe un'alternanza giorno/notte.  Forse su questi pianeti potrebbe esserci una fascia più ospitale attorno alla zona crepuscolare.  I futuri studi delle atmosfere di questi corpi aiuteranno sicuramente a  comprendere meglio le reali condizioni sui pianeti. 

Per quanto riguarda le possibilità di visitare questi mondi, ci sono gli stessi problemi di cui abbiamo parlato riguardo Proxima b, e su distanze ancora maggiori. Tuttavia la buona notizia è che la stella TRAPPIST-1 vivrà ancora per altri circa 5 mila miliardi di anni, quindi l'umanità ha tutto il tempo per sviluppare la tecnologia necessaria per compiere questo lungo viaggio interplanetario".

A lanciare un messaggio di equilibrio è anche Antonio D'Isanto, dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania, consulente e autore di Tom's Hardware. "Il primo aspetto su cui vorrei porre l'accento è la necessità da parte di tutti di un po' di equilibrio. In questi giorni se ne è ovviamente parlato molto, e mi è capitato di leggere o ascoltare dichiarazioni in cui si dava quasi per certa la presenza di acqua e forse di vita su questi pianeti. Ma affermazioni di questo tipo sono quanto meno fuorvianti.

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Il fatto che tre dei sette pianeti siano in zona abitabile infatti, garantisce la possibilità che possa esserci acqua, condizione necessaria allo sviluppo della vita per come la conosciamo, ma non la certezza. Del resto anche Venere e Marte si trovano nella zona abitabile del nostro Sistema Solare, eppure, a causa di altri fattori, sono inospitali alla vita.

Inoltre bisogna tenere conto del fatto che stelle come TRAPPIST-1, pur essendo molto piccole, e per questo dotate di vita lunghissima in sequenza principale (molto più dell'età attuale dell'Universo), sono caratterizzate da una notevole attività, quali flare, forti emissioni magnetiche e di raggi X, a causa della loro struttura interna totalmente convettiva. Questo potrebbe rendere, almeno teoricamente, il sistema un posto poco piacevole in cui soggiornare, a causa delle serie conseguenze che queste emissioni potrebbero comportare sulle atmosfere dei pianeti.

Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi, e ciò non sminuisce l'importanza senza precedenti della scoperta, se non altro per il fatto che una tale abbondanza di pianeti terrestri, e con tre in zona abitabile, non era mai stata osservata in un solo sistema. Gli aspetti sui quali, a mio avviso, occorre concentrarsi sempre più sono due. In primis il fatto che con la nuova generazione di strumenti, osservazioni di questo tipo aumenteranno in maniera esponenziale, poiché ormai credo sia corretto affermare che sistemi planetari del genere siano la regola e non l'eccezione. Ciò anche alla luce del fatto che la scoperta è stata effettuata con una tecnologia tutto sommato "vecchia". Pertanto, grazie all'avanzamento tecnologico le probabilità di trovare il pianeta giusto, al posto giusto e nelle condizioni giuste, in questa sorta di gioco ad incastro, sono senza dubbio destinate a crescere.

Spitzer

Secondo, bisogna concentrarsi, una volta individuati i candidati, sullo studio delle atmosfere, in modo da riuscire ad avere conferme della presenza di acqua, ossigeno ed eventualmente tracce organiche. Anche da questo punto di vista, nuovi telescopi quali James Webb, ELT, e così via, potranno presto venirci in aiuto.

Come è stato già dichiarato da alcuni scienziati della NASA, 'ormai non è più questione di se, ma quando'".