Siamo drogati di tecnologia: ecco come uscirne

Entro 48 ore è un bel libro che parla di downshifting tecnologico. L'ha scritto Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all'Università di Milano. L'intento è quello di segnalare una via per ritrovare equilibrio con la tecnologia che ci circonda.

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a cura di Dario D'Elia

La tecnologia digitale forse ci sta privando di qualcosa. Smartphone, tablet, PC, Internet, videogiochi, YouTube e Facebook sono diventati veri e propri strumenti di distrazione di massa. Forse ne abusiamo e così senza rendercene conto ci allontaniamo dalla realtà fatta di amicizie, riflessioni, confronti, relazioni, etc.

Entro 48 ore

Esiste però una via di uscita individuata da Giovanni Ziccardi, professore di Informatica giuridica all'Università di Milano: il downshifting tecnologico. Lui che da oltre 20 anni si occupa, senza essere serioso, di criminalità informatica, hacking e dissidenza digitale ha recentemente pubblicato il libro "Entro 48 ore". No, non è una sceneggiatura che vede nuovamente coinvolti Nick Nolte e Eddie Murphy (48 ore, 1982 - Walter Hill). Si tratta di un racconto scorrevole e divertente su come si possa vivere il rapporto con la tecnologia con equilibrio. Non è il caso di rinunciare agli strumenti digitali, ma solo a quegli automatismi comportamentali che ci arrecano danno.

"Eric Clapton una volta ringraziò dal palco un artista del Crossroads Guitar Festival. È una persona deliziosa, disse. Ogni anno al mio invito risponde subito entro 48 ore. Oggi fa sorridere quel subito entro 48 ore. Nell'era digitale 48 ore sono un'eternità, Ma Clapton come al solito non aveva tutti i torti. Io quelle 48 ore me le sono riprese", scrive nell'incipit Ziccardi.

Ecco il motivo della nostra intervista.

Giovanni Ziccardi

Se dovesse rifare la quarta di copertina e dovesse profilarla per un pubblico geek cosa scriverebbe?

Un approccio hacker al ripensamento tecnologico. Come eliminare il superfluo dall'uso quotidiano delle tecnologie e riacquistare curiosità, inventiva, creatività, qualità nelle proprie attività e valori ormai dimenticati. Come partecipare correttamente alle discussioni in rete evitando troll e flames, come raggiungere il tanto agognato inbox zero nella propria casella di e-mail e come avviare un blog o un progetto che duri nel lungo periodo e che non si spenga dopo poche settimane.

Cosa intende per downshifting tecnologico?

Intendo un utilizzo delle tecnologie nella vita quotidiana, sia essa personale o professionale, che da un lato rispetti l'essenza stessa delle tecnologie e dall'altro ci permetta di rallentare molti utilizzi inutili che se ne fanno. Il riportare le tecnologie un po' al loro posto per recuperare valori o comportamenti che stanno scomparendo. Non si tratta di un semplice "staccare" ma di un operare un cambiamento dall'interno della società tecnologica. Lo staccare per qualche giorno non serve a nulla. Più importante è rimodulare il rapporto dell'essere umano con le tecnologie che usa quotidianamente e con il mondo che lo circonda.

Parla di ricerca di un nuovo equilibrio digitale: pensa che oggi non ci sia? Perché?

Perché le tecnologie stanno cambiando le persone anche nei loro comportamenti tradizionali, correlati ad esempio alla memoria, all'attenzione (e mono-attenzione), alla qualità nello scrivere, alla capacità di apprendimento. Molte persone utilizzano le tecnologie in maniera poco sana e squilibrata ma semplicemente perché non conoscono a fondo le tecnologie che stanno utilizzando. L'equilibrio va ricercato non evitando le tecnologie ma ripensandole, fermandosi un attimo a riflettere sui nostri comportamenti tecnologici e scegliendo quelli più corretti.

Perché non staccare tutto senza fare troppe storie, sempre che il proprio lavoro lo permetta?

Perché non serve a nulla se non è fatto sul lungo periodo (e non tutti se lo possono permettere) e perché oggi le tecnologie sono indispensabili. Lo staccare tutto oggi è fuori dalla storia. Molto meglio limitare, affinare e ripensare a come usiamo le tecnologie.

All'inizio del libro lei parla di una fuga, un ritorno, verso un luogo di meditazione. Che dire però a un nativo digitale che non ha termini di paragone?

Che ci sono momenti, luoghi e sensazioni che le tecnologie non possono ricreare. Un nativo digitale segue percorsi diversi da quelli che seguimmo noi quando arrivarono i primi computer in Italia. Allora si studiava, si pensava, ogni cosa che faceva il computer e ogni funzione che ci restituiva era il frutto di un lavoro, di un ragionamento, di un pensiero. Oggi il touch e le interfacce evolute impediscono già dopo pochi minuti di pensare. Essere un po' hacker nell'approccio significa anche cercare di capire a fondo cosa c'è sotto a quella interfaccia.

La tecnologia e il digitale sono il suo mestiere. Scrive questo libro per recuperare 48 ore. Non è che sta covando nel profondo una certa disillusione nei confronti dell'hi-tech?

Disillusione no, anzi. Ma vedo un utilizzo diverso, oggi, rispetto a quello di una volta, e minore attenzione ai dettagli. Vedo molta meno curiosità e più passività nell'utilizzo.

Questa incredibile cacofonia digitale, secondo lei, dove ci porterà? Senza una degna presa di coscienza cosa rischia la nostra società e i giovani?

Secondo me rischiamo, a un certo punto, un rigetto. Ci si renderà conto che sarà necessario un passo indietro. Il rischio è un uso inconsapevole che conduca a ulteriori rischi. Senza contare un abbassamento generalizzato di qualità in alcuni ambiti importanti.