Smart working: le Regioni promuovono lo sviluppo di nuove competenze

In questo periodo, il ricorso allo smart working, per molte persone, è stato un obbligo più che una scelta. Tuttavia, il ricorso forzato a questo nuovo modo di intendere il lavoro e le misure che sono state adottate per renderlo possibile lasceranno senz'altro un patrimonio importante sia alle imprese che ai singoli lavoratori. Per questo è indispensabile che i lavoratori acquisiscano nuove competenze e, soprattutto, che sappiano condividere quanto acquisito e metterlo a disposizione delle aziende.

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a cura di Redazione Diritto dell’Informatica

La situazione di emergenza scatenata dal Covid-19 e il lockdown
 imposto dal Governo per porvi rimedio hanno imposto cambiamenti rapidi e profondi nel modo di lavorare per chi opera in settori in cui ciò sia attualmente consentito. Come ormai noto, e come caldamente raccomandato dal D.P.C.M. dell’11 marzo 2020, il lavoro agile, laddove l’attività da svolgere lo permetta, dovrebbe essere diventato la normalità, la regola.

Sebbene il lavoro agile sia uno strumento che si è sviluppato e diffuso negli ultimi anni nell’ambito di un nuovo approccio all’organizzazione del lavoro, basata su concetti come flessibilitàautonomia e collaborazione, e sia volto ad ottenere maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento degli obiettivi professionali, in questo particolare momento esso rappresenta, piuttosto, uno strumento essenziale a disposizione delle imprese per affrontare le attuali restrizioni.

L’Italia ha regolamentato tale modalità di lavoro per la prima volta 3 anni fa con la Legge 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato, sebbene lo smart working fosse già utilizzato da alcune aziende, soprattutto multinazionali, ben prima dell’intervento legislativo.

Secondo un report dell’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano, nell’anno 2019 gli smart worker in Italia hanno raggiunto quasi le 600 mila unità, pur esistendo un gap importante tra le grandi imprese e le piccole e medie imprese: se, infatti, tra le prime circa il 58% possiede infrastrutture e programmi che permettono lo smart working, tra le seconde la percentuale si ferma al 12%.

Oggi, per cercare di favorire questo strumento di organizzazione del lavoro anche tra le imprese con piccoli fatturati e le partite IVA, soprattutto nell’attuale contesto emergenziale, alcune Regioni italiane hanno adottato delle specifiche misure di finanziamento ricorrendo al Fondo Sociale Europeo.

Che cos’è il Fondo Sociale Europeo?

Il Fondo Sociale Europeo (FSE), uno dei tre fondi strutturali dell’Unione Europea insieme al Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e al Fondo di Coesione (FC), è il principale strumento finanziario con cui l’UE sostiene l’occupazione all’interno degli Stati membri e promuove la coesione economica e sociale.

Il FSE finanzia migliaia di progetti nazionali, regionali e locali in materia di occupazione: tali progetti variano per natura e finalità perseguite, rivolgendosi ad un ampio ventaglio di categorie, dagli studenti ai giovani imprenditori.

Uno degli obiettivi perseguiti dal FSE attraverso i suoi progetti è la promozione dell’adattabilità dei lavoratori e delle imprese, perseguita rispettivamente attraverso lo sviluppo di nuove competenze e di nuovi metodi di lavoro. In questo contesto si collocano anche i finanziamenti volti all’adozione di modelli innovativi di organizzazione del lavoro, messi a disposizione dalle Regioni italiane.

I contributi erogati

Come detto, sono diverse le Regioni che hanno predisposto dei bandi per l’erogazione di fondi in favore di imprese e partite IVA. L’importo dei fondi messo a disposizione varia per ogni regione, così come le modalità e le tempistiche per partecipare al bando. Ciò nonostante, vi è un comune denominatore: fornire alle imprese e ai lavoratori gli strumenti per poter proseguire l’attività lavorativa anche nell’attuale situazione di incertezza e chiusura totale.

Più specificamente, i fondi sono destinati a:

  • servizi di consulenza e formazione “finalizzati all’adozione di un piano di smart working con relativo accordo aziendale o regolamento aziendale approvato e pubblicizzato nella bacheca e nella intranet aziendale”;
  • acquisto di strumentazione tecnologica (componenti hardware e software) funzionale all’attuazione del piano di smart working.

L’importo dei fondi erogati varia in base al numero dei dipendenti dell’azienda, delle sedi operative o delle unità produttive e in base al progetto presentato.

Si può presentare un progetto per ottenere i soli fondi per la consulenza e la formazione oppure uno per ottenere il “pacchetto completo”. Non è possibile, invece, richiedere i fondi solo per l’acquisto di hardware e software. Questo limite è esplicativo del fatto che la formazione sull’uso degli strumenti tecnologici e sulle modalità con cui lavorare e gestire le relazioni attraverso tali strumenti riveste un’importanza preponderante nel contesto del lavoro agile.

Il messaggio appare molto chiaro e rientra nelle politiche attuate dal Fondo Sociale Europeo: gli investimenti non devono mirare solo al rafforzamento degli strumenti tecnologici, ma devono essere volti all’accrescimento del capitale umano. Solo in questo modo si può mirare a raggiungere l’adattabilità dei lavoratori, che l’Europa si pone come obiettivo.

Perché lo smart working funzioni, e possa essere considerato più che semplice lavoro da remoto, è indispensabile che i lavoratori acquisiscano nuove competenze e una maggiore professionalità e, soprattutto, che sappiano condividere quanto acquisito e metterlo a disposizione delle aziende.

Per partecipare ai bandi è necessario avere una serie di requisiti, tra cui:

  • essere imprese regolarmente iscritte alla Camera di Commercio di competenza oppure essere soggetti, non iscritti alla Camera di Commercio, in possesso di partita IVA;
  • avere un numero minimo di dipendenti (alcuni bandi ne prevedono uno, altri tre);
  • non essere già in possesso di un piano di smart working regolamentato o del relativo accordo aziendale;
  • essere in regola con gli obblighi contributivi.

destinatari dei benefici, si evince dai bandi, saranno i dipendenti delle aziende che si saranno aggiudicate i contributi. Sono esclusi, però, i tirocinanti, i lavoratori con contratto di somministrazione e i lavoratori con contratto c.d. a chiamata.

Conclusioni

In questo periodo, il ricorso allo smart working, per molte persone, è stato un obbligo più che una scelta, dovuto ad esigenze che trascendono totalmente dalla conciliazione dei tempi di vita e lavoro o dall’aumento della produttività aziendale.

Evidentemente, e senza voler sollevare critiche, in questi giorni, il lavoro compiuto da remoto, presso la propria abitazione, non può nemmeno inquadrarsi appieno nel concetto di smart working, stante l’impossibilità di privilegiare luoghi di lavoro diversi dal soggiorno o dalla camera da letto e venendo meno, così, il concetto di flessibilità che dovrebbe connotare questa modalità di lavoro.

Tuttavia, il ricorso forzato a questo nuovo modo di intendere il lavoro e le misure che sono state adottate per renderlo possibile lasceranno senz'altro un patrimonio importante sia alle imprese che ai singoli lavoratori. Patrimonio costituito non solo dal potenziamento di hardware e software utilizzati per lavorare, ma, in particolar modo, dal corredo di competenze che i lavoratori stanno acquisendo in questo momento. Sarà quindi necessario che il know-how acquisito in questo momento di emergenza sia valorizzato e sfruttato per accogliere le sfide del futuro. Insomma, formarsi oggi per essere competitivi domani.

Certamente, quando la situazione emergenziale sarà terminata, si potrà tornare a lavorare dal proprio locale preferito, bevendo un caffè o addentando un sandwich. Per quel giorno, sarà meglio non farsi trovare impreparati ed essere in grado di gestire al meglio le potenzialità offerte dallo smart working, sia dal lato delle imprese sia per i lavoratori!

Si segnala, a tal proposito, che esistono anche applicazioni mobili molto interessanti, che permettono di prenotare postazioni di lavoro in bar, caffetterie e locali che aderiscono a circuiti dedicati. Il funzionamento di queste app è molto semplice: basta scaricarle e creare il proprio profilo di lavoratore; a quel punto si potrà scegliere il locale che si preferisce e prenotare una postazione singola o anche una soluzione con più posti per tenere una riunione. Questi strumenti, nati anche in Italia ben prima dell’emergenza, potrebbero risultare un’idea vincente sia per gli smart worker, sempre più in cerca di locali polifunzionali, che per gli esercizi commerciali che avranno la necessità di ripartire dopo il periodo di crisi.