Streaming pirata assolto se c'è poco lucro

Il Tribunale di Frosinone ha riconosciuto che non è automatica la violazione del diritto d'autore se un sito ospita link a streaming pirata.

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a cura di Dario D'Elia

"Finalmente un giudice ha riconosciuto che non è automatica la violazione del diritto d'autore se un sito ospita link a streaming di film e musica su internet, anche con banner pubblicitari, se non è chiaro il fine di lucro", ha dichiarato l'avvocato Fulvio Sarzana. La sentenza emessa a febbraio dal Tribunale di Frosinone rischia di trasformarsi in un precedente che potrebbe condizionare i futuri processi che riguardano i siti pirata, nello specifico quelli che mostrano link a film in streaming.

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L'avvocato Sarzana si è occupato della difesa dei gestori di filmakers.biz, filmaker.me, filmakerz.org, e cineteka.org, un gruppo di siti oggetto di ingiunzione nel 2015 per violazione delle norme sul copyright. Avrebbero dovuto rimborsare i detentori di copyright e loro rappresentanti con 546.528,69 euro, ma il giudice ha rigettato la richiesta.

"Per la prima volta, è stato ristabilito lo stato di diritto nelle questioni di copyright. Questo è infatti il primo giudice che riconosce che se non ci sono prove sufficienti, un sito non può essere chiuso e il suo gestore sanzionato", ha sottolineato Marco Scialdone, docente a contratto in Digital Copyright, presso la Link Campus University di Roma e responsabile del team legale dell'Associazione "Agorà Digitale".

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In effetti la prassi di questi anni è stata quella di far scattare condanne senza analizzare troppo i perimetri dell'illecito, almeno secondo Scialdone. Un sito pirata, a prescindere dalla presenza o meno di condotte a scopo di lucro, non godeva delle medesime verifiche probatorie che spesso entrano in gioco quando si parla di siti web.

"Il tutto perché le tante battaglie politiche fatte dall'industria del copyright hanno fatto passare l'idea che certe attività sono di per sé illegali, quindi l'attenzione del giudice si abbassava nell'affrontare i casi", ha confermato Scialdone a La Repubblica.

"Il giudice, rilevando come l'indicazione di link non possa qualificarsi come messa a disposizione diretta di file protetti dal diritto d'autore ha ritenuta lecita l'attività del portale", ha ricordato l'avvocato Sarzana. "E questo nonostante la presenza di banner pubblicitari. Il giudice infatti ha evidenziato quanto in sé il file sharing, ovvero la condivisione di file protetti dal diritto d'autore, sia un risparmio di spesa e non una attività con finalità di lucro".

In sintesi non pare sufficiente la produzione di reddito, ma bisognerebbe riuscire a dimostrare che "l'attività di lucro sia collegata alla singola opera e che ne sia il corrispettivo".

Di diverso avviso la FAPAV, che è convinta che "gli intermediari debbano assumersi le proprie responsabilità nonché collaborare maggiormente con tutti i soggetti impegnati nella tutela dei contenuti culturali".