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a cura di Alessandro Crea

La cosiddetta link tax, la tassa che il Parlamento Europeo vorrebbe imporre agli aggregatori di notizie, potrebbe presto essere approvata. Il prossimo 24 aprile infatti dovrebbe esserci il voto in commissione JURI (Affari Legali), il più importante perché valuta la legalità della proposta di riforma. Se l'articolo 11 della riforma del copyright passerà l'esame, l'approvazione sarà cosa praticamente fatta. Alla base della riforma c'è la volontà di costringere i colossi del Web come Google o Facebook a pagare agli editori una licenza per pubblicare i link ai loro articoli.

Nel frattempo però la battaglia continua, soprattutto ad opera di Julia Reda del Partito Pirata. Le implicazioni di questo articolo infatti sono molte e complesse e potenzialmente potrebbero ledere alcuni aspetti fondanti e fondamentali del Web. Ma procediamo per ordine e vediamo brevemente la storia di questa riforma.

copyright

Voluta fortemente dall'ex Commissario al Digitale Gunther Oettingher, la riforma è in dibattimento da oltre un anno e, nonostante da subito sia stata osteggiata dal mondo accademico e dalla società civile, è andata avanti bozza dopo bozza, senza mai migliorare però sui temi più scottanti, tanto che anzi secondo la Reda l'ultima bozza redatta da Alex Voss è addirittura peggiore della proposta originaria.

L'idea del Parlamento europeo è quella di rivedere i presupposti del diritto d'autore, per aggiornarli mantenendoli al passo coi tempi e con gli avanzamenti tecnologici, soprattutto all'epoca del Web. Un'intenzione sulla carta giusta e lodevole, che però appunto rischia di tradursi in un boomerang per chi crede nella libertà e democrazia della Rete.

Nella visione degli estensori originari della proposta i social network guadagnerebbero dalla condivisione dei contenuti senza condividere i proventi con chi produce i contenuti. Inoltre, la diffusione dei link porterebbe gli utenti dei social a non leggere gli articoli completi originali, penalizzando così addirittura gli editori. Un punto di vista assai parziale e discutibile, che sembrerebbe dettato più da interessi lobbistici che da reali motivazioni.

Il caso della Spagna, in cui Google si è rifiutata di versare la tassa preferendo chiudere Google News, sembra confermare le perplessità di Reda, del Partito Pirata e in generale di tutti gli studiosi e attivisti che avversano l'approvazione dell'articolo 11.  In Spagna infatti la chiusura di Google News avrebbe provocato un calo del traffic stimabile tra il 6 e il 14%, a danno soprattutto delle realtà minori. Ma ci sono almeno altre due obiezioni che possono essere mosse a questa proposta di riforma. Anzitutto infatti essa andrebbe a colpire i giornali europei, che scomparirebbero dagli aggregatori se questi dovessero rifiutarsi di pagare, mentre i produttori extraeuropei di contenuti sarebbero avvantaggiati da una diminuzione della concorrenza. Inoltre soltanto grandi aggregatori come Google o Facebook avrebbero la forza di dire no alla tassa, le piccole realtà non avrebbero altra scelta che pagare o chiudere.

"Innumerevoli esperti, accademici e stakeholder hanno evidenziato come questa legge mette in pericolo diritti fondamentali minacciando Internet stessa, i piccoli editori, le piattaforme aperte come Wikipedia e l'intero sistema open source", ha scritto Julia Reda. "Una delle sue proposte sulla tassa sui link è di adottare la stessa proposta che in Spagna ha fallito clamorosamente. Vuole obbligare i siti di news a farsi pagare una licenza per essere linkati, che lo vogliano o no. Questo comporterebbe la chiusura di servizi innovativi e piccoli editori, visto il calo di traffico registrato in Spagna e sarebbe una catastrofe per la garanzia del pluralismo dei media in Europa".

Non solo. L'ultima bozza proposta da Voss introduce il concetto di inalienabilità per il diritto degli editori a ricevere una remunerazione per la condivisione dei propri contenuti: in questo modo è chiaro che non è più possible alcuna forma di ricomposizione pacifica tra le parti coinvolte e così chi non volesse pagare non potrà pubblicare più niente, sottraendo in questo modo il diritto alla libera informazione e alla condivisione dei contenuti da parte dei cittadini europei.

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Il rischio insomma è ancora una volta che il tentativo di proteggere i diritti degli editori con leggi promulgate da chi non ha forse ben compreso la reale natura e il funzionamento del Web si trasformi in una mannaia per i diritti civili. In attesa di conoscere l'esito del voto del 24 aprile intanto nientemeno che Mozilla ha avviato una vera e propria campagna contro l'approvazione della legge, con hashtag #SaveTheLink e sito ufficiale in cui invita I cittadini a contattare I parlamentari europei per sensibilizzarli sulla necessità di cambiare il contenuto e l'approccio della legge.