Tasse su Bitcoin, perché sono un bene come case e azioni

Gli Stati Uniti rompono gli indugi e dichiarano Bitcoin un bene tassabile.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

I Bitcoin sono una proprietà e come tale vanno tassati. Questo è il giudizio definitivo del fisco statunitense (IRS), emesso giusto in tempo per la dichiarazione dei redditi. Chi possiede BTC e altre valute virtuali dovrà quindi dichiararlo, o in alternativa venderle in tempo.

Avere delle criptomonete, quindi, negli Stati Uniti è ora come possedere degli immobili o delle azioni. Un bene il cui valore fluttua nel tempo e che produce un guadagno di capitale, sul quale appunto si applica la tassazione.

"Un contribuente che riceva valuta virtuale come pagamento per beni o servizi deve, nel calcolo dell'imponibile lordo, includere il giusto valore di mercato della valuta virtuale, misurato in dollari US, alla data in cui la valuta virtuale è stata ricevuta".  

Lo stesso principio si applica a chi fa mining di Bitcoin, e a chi riceve esclusivamente Bitcoin per il lavoro che svolge e a chi li compra direttamente da altri o tramite un exchange. Si tratta quindi di un cambiamento piuttosto rilevante nel mondo delle valute virtuale, ma non necessariamente di una cosa negativa.

Per i contribuenti statunitensi è infatti una buona notizia anche per almeno una ragione: l'alternativa era infatti tassare i BTC come i profitti derivati da scambi in valuta straniera, e in questo caso l'imposta sarebbe stata molto più alta. Questa novità inoltre è anche un'ulteriore legittimazione delle nuove valute. Si potrà controbattere che non ce n'era bisogno, certo, ma è probabilmente renderà più forte tutto l'ecosistema delle valute alternative.

L'aspetto negativo sta invece nel fatto che in questo modo si solidifica ancora di più la visione delle valute digitali come bene d'investimento e non come alternativa al denaro. Questo sistema di tassazione diventa infatti praticamente ingestibile per chi usa BTC e altre monete quotidianamente per i propri acquisti: oggi si tratta di poche persone, e se le cose restano così di certo il loro numero non aumenterà.

"In teoria le regole dell'IRS sembrano avvantaggiare che investe in Bitcoin come asset finanziario di proprietà a lungo termine, e scoraggia quelli che vogliono usarlo come forma di valuta digitale", si legge infatti sul sito specializzato CoinDesk.

Le difficoltà ci saranno anche per chi fa vendite in BTC, chi accetta donazioni e chi gestisce i sistemi di pagamento – un po' come fa PayPal con il denaro tradizionale. Per tutti questi operatori si preannuncia un sacco di burocrazia in più, uno sforzo che, insieme alle tasse, potrebbe anche far scappare la voglia di usare Bitcoin e altre criptovalute.

Certo, esistono metodi per rendere totalmente anonime le transazioni e sfuggire a ogni controllo. Ma non sono semplici e tutt'altro che comodi: sarebbe molto difficile comprare qualcosa online e farselo spedire mantenendo l'anonimato totale, e del tutto impossibile se si parla di beni da intestare come veicoli o case.

Resta da vedere se la scelta dell'amministrazione statunitense sarà imitata anche in Europa e altrove nel mondo. In Danimarca i guadagni derivati da Bitcoin e simili sono esentasse, una decisione che è stata presa proprio negli ultimi giorni. Gli esperti danesi ne hanno discusso a lungo, e alla fine hanno stabilito che queste valute non sono denaro reale perché non ne esiste una versione fisica e tangibile, e le transazioni sono da considerare atti privati. Fanno eccezione le società che lavorano esclusivamente con le criptovalute, che dovranno dichiarare regolarmente i propri profitti.

In Italia e altrove, invece, una decisione definitiva non è ancora stata presa.