Telecom e Bernabè sono vittime della politica: anche loro?

Franco Bernabè ha scritto alle commissioni Industria e Telecomunicazioni del Senato per fare il punto sul caso Telecom Italia.

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a cura di Dario D'Elia

Il mancato scorporo di Telecom Italia si deve alla politica e al Garante delle Comunicazioni. Questa in sintesi la posizione di Franco Bernabè, il presidente esecutivo uscente del colosso italiano. Ha deciso di spedire una lettera alle commissioni Industria e Telecomunicazioni del Senato per completare il quadro avviato in sede di audizione e fondamentalmente togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

"Purtroppo, le vicende di questi giorni, decisive non solo per gli assetti proprietari ma anche per la definizione del nuovo piano industriale per il rilancio del Gruppo mi impediscono di proseguire l'audizione, come inizialmente concordato. Vorrei, quindi, affidare la conclusione del mio intervento a queste brevi note", scrive il dirigente.

Sindrome Calimero

La prima considerazione riguarda il nuovo assetto di Telecom Italia che ha acceso il dibattito su nazionalizzazione e/o l'imposizione ex-lege dello scorporo. Ebbene a suo parere non si tratta "di proposte pienamente compatibili con la legislazione europea e nazionale''. Mentre golden share, golden power o nuove norme sull'OPA richiedono senza dubbio un'attenta considerazione.

"In realtà, il vero obiettivo strategico per il nostro Paese è la garanzia degli investimenti necessari per la modernizzazione dell'infrastruttura e del servizi di comunicazione elettronica erogati alle imprese, ai consumatori e alla Pubblica Amministrazione", ricorda il dirigente. "Investimenti indispensabili affinché l'Italia possa entrare a pieno titolo nella futura società digitale prospettata dal piano Europa 2020 del Consiglio della UE".

Il progetto di scorporo rientra proprio in questa ottica, ma secondo Bernabè non è stato accolto nella modalità adeguata. "Non ha ricevuto, per lungo tempo, il sostegno politico che sarebbe stato necessario e che, si sta concretizzando solo in questi giorni", ha ricordato. In primo luogo con la Cassa Depositi e Prestiti non è stato ancora trovato un terreno comune sulle modalità di ingresso e la valorizzazione degli attivi che verranno a costituire il patrimonio industriale della futura società della rete.

In secondo luogo l'AGCOM "non ha finora chiarito l'iter procedurale nell'ambito del quale incardinare la valutazione regolamentare dell'iniziativa di scorporo, né dato alcuna indicazione circa il trattamento degli obblighi in capo a Telecom Italia, a seguito dell'implementazione della cosiddetta Equivalence of input''.

Insomma la politica dovrebbe intervenire in qualche modo per sbloccare gli ingranaggi, perché di fatto si tratterebbe dello "sviluppo di un asset strategico per il Paese". E qui al solito Bernabè, come ha sempre fatto, mischia gli interessi dell'azienda con quelli dell'Italia. È vero che Telecom Italia gestisce la rete nazionale è che non si può dimenticare questo dettaglio se si pensa allo sviluppo digitale, ma non vuol dire che sia giusto che i cittadini si facciano carico dei problemi finanziari di una società privata.

Come molti analisti stanno facendo notare in questi giorni, abbiamo di fronte una telco a dir poco speciale. Negli anni ha perso valore in Borsa come nessun altra concorrente europea, ha visto erodere le sue quote di mercato, e malgrado tutto questo sui dividendi per i grandi azionisti è stata sempre molto generosa.

Dopodiché se la Cassa Depositi e Prestiti, nonché AGCOM, si mostrano cauti è perché il vento è cambiato. Si può chiedere agli italiani di essere felici di aiutare un'azienda che non ha saputo essere altezza dell'asset ricevuto? Dalla privatizzazione sono stati chiusi centri di ricerca, svenduti rami d'azienda strategici, sperperato tutto quel vantaggio che avevamo nel campo delle telecomunicazioni rispetto ai cugini europei. Un tempo eravamo avanguardia. Oggi rischiamo l'acquisizione dagli spagnoli di Telefonica che sono più indebitati di noi. E lo smacco più grande è che lo fanno non perché hanno un reale interesse per l'Italia, ma perché non vogliono perdere la leadership in Sud America.